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La Polonia nega l’aborto alle profughe ucraine stuprate dai soldati russi

HELSINKI – Scappavano dall'inferno, si sono svegliate nel Medioevo. E ora il telefono di Krystyna Kacpura, avvocatessa e direttrice della "Federazione per la pianificazione delle famiglie e delle donne" squilla ininterrottamente. Dall'altro capo del filo, il più delle volte, la voce disperata di una donna che non sa come abortire. Da anni le polacche, a causa delle micidiali restrizioni antiabortiste, sono costrette a fuggire all'estero o a ricorrere alle mammane. O, nella migliore delle ipotesi, alle ong che offrono tutto l'aiuto che possono. Ma, in queste drammatiche settimane, alle polacche si stanno aggiungendo le ucraine.

Donne in fuga da un'invasione armata. Stuprate da soldati russi. Traumatizzate dalle bombe. E in condizioni complicate, a volte troppo complicate, per portare avanti una gravidanza. Ma che si ritrovano in un'altra trincea, in una guerra più subdola ma non meno dolorosa. E Krystyna Kacpura può fare poco.

Le ucraine sono fuggite da un Paese, l'Ucraina, che ora è sotto alle bombe ma che prima dell'invasione russa consentiva di abortire fino alla dodicesima settimana. E sono piombate in Polonia, roccaforte dell'ultracattolicesimo da Radio Maria e Congresso mondiale delle famiglie. Hillary Margolis, di Human Rights Watch, ha raccontato ai media polacchi che "le ucraine non sono abituate alle nostre restrizioni: c'è molta paura e ansia tra di loro".

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dalla nostra corrispondente

Tonia Mastrobuoni


Due milioni di ucraini si sono rifugiati in Polonia, al 90% sono donne e bambini. È il Paese che li ha accolti con il maggiore entusiasmo, che ha cambiato le leggi per favorirne l'integrazione, attraversato da un'ondata di solidarietà commovente che non pare spezzata neanche dopo un mese e mezzo di guerra. Però, nel Paese governato da Mateusz Morawiecki, si può abortire in pochissimi casi, neanche se il feto è morto o malformato e la madre rischia la vita. A dicembre dello scorso anno era fallito un blitz del partito di governo, Pis, per far vietare l'aborto persino in caso di stupro o incesto. Per le profughe ucraine sarebbe stata un'umiliazione ulteriore.

Chi conosce lo stato di polizia che accompagna le leggi liberticide del governo Morawiecki è Justyna Wydrzynska, attivista di "Aborto senza frontiere", primo caso di un europeo finito alla sbarra per aver spedito delle pillole del giorno dopo a una donna vittima di violenza domestica. Un giorno quella donna l'aveva chiamata, terrorizzata. Era incinta da meno di tre mesi. Non voleva portare avanti la gravidanza: il compagno era violento e abusava di lei. "Ho empatizzato con lei, so cosa significa la violenza domestica", racconta. Wydrzynska le spedì una confezione di pillole del giorno dopo. Furono intercettate dal compagno violento che chiamò la polizia. Da allora l'attivista è sotto processo per traffico illegale di farmaci.

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Tonia Mastrobuoni


"Novantanove ucraine mi hanno già contattato dal 1 marzo chiedendo come abortire o come avere una pillola del giorno dopo" dice l'attivista. Quando le truppe russe sono state ricacciate dai dintorni di Kiev e sono emerse le fosse comuni, le stragi e gli stupri sistematici, etnici, Wydrzynska ha appreso una notizia che l'ha gelata: "I volontari che sono andati a Bucha hanno detto che le donne stuprate lì hanno paura di venire in Polonia. Conoscono le nostre leggi e le temono. Piuttosto cercano di arrangiarsi lì, in un Paese ancora devastato dalla guerra". Un martirio che non finisce mai.©RIPRO

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