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Basta con il “codice Floyd”: lettera aperta al sindaco di Firenze Dario Nardella

Gentile sindaco Dario Nardella,
la stima che provo per lei mi induce a scriverle a proposito di una vicenda accaduta nella città di Firenze. Il 5 aprile scorso alcuni agenti della Polizia municipale hanno adottato quello che vorrei definire "codice Floyd" ai danni di un venditore ambulante senegalese, Pape Demba Wagne.

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Provvidenzialmente, l'azione non si è conclusa con la morte del fermato, ma un video ha riproposto, ancora una volta, la tecnica già attuata nei confronti dell'afroamericano George Floyd, deceduto per asfissia il 25 maggio del 2020 a Minneapolis.

La modalità è esattamente questa: il fermato, che si sottrae o resiste, viene bloccato a terra in posizione prona con i polsi legati dietro la schiena, mentre uno o più agenti gli gravano su spalle, scapole e dorso. Intanto, il braccio di uno degli agenti ne stringe il collo: e la duplice pressione sul torace e sulla gola, impedendo la normale respirazione, può causare l'asfissia.

A mia conoscenza l'ultima applicazione di quella manovra è del primo gennaio del 2021, quando, all'interno dell'ambasciata italiana di Montevideo, un poliziotto uruguaiano affronta il nostro connazionale Luca Ventre provocandone la morte. L'autopsia del medico legale italiano ha constatato che la fine di Ventre è stata causata da "asfissia meccanica, violenta ed esterna", scaturita dalla presa con cui l'uomo è stato bloccato per diversi minuti.

La prima volta che ho appreso di quella modalità di fermo – ma chissà quanto frequentemente era già successo – risale all'ottobre del 2006 e ne fu vittima Riccardo Rasman. Il processo per la sua morte dimostrerà che "sul tronco, sia salendogli insieme o alternativamente sulla schiena, sia premendo con le ginocchia" era stata esercitata "un'eccessiva pressione che ne riduceva gravemente le capacità respiratorie".

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Era già accaduto a Federico Aldrovandi e accadrà, ancora, a Bohli Kaies, Arafet Arfaoui, Vincenzo Sapia, Bruno Combetto e chissà a quanti altri ancora. E, la notte del 3 marzo del 2014, a Riccardo Magherini, in borgo San Frediano, a Firenze. Per quest'ultimo, la Corte europea dei Diritti umani (Cedu) ha chiesto al governo italiano risposte circostanziate a proposito dei comportamenti dei carabinieri autori del fermo.

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Un passo indietro. Il 30 gennaio del 2014, una circolare del Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, affissa sulle bacheche di tutte le caserme italiane, chiedeva ai militari di evitare "i rischi derivanti da immobilizzazioni protratte, specie se a terra in posizione prona", aggiungendo che "la compressione toracica può costituire causa di asfissia posturale". Un mese dopo, la morte di Magherini. Nel 2016, mentre era in corso il relativo processo, quella circolare venne sostituita da un altro documento nel quale si omettevano le raccomandazioni sui rischi di un ammanettamento "nella posizione prona a terra".

Una ulteriore vicenda riporta a quanto accaduto, qualche giorno fa, a Firenze. Il 5 agosto del 2015, a Torino, Andrea Soldi, affetto da schizofrenia paranoide, subisce un Trattamento sanitario obbligatorio (Tso). Identiche le modalità e uguali gli operatori: agenti della polizia municipale.

È questo, caro sindaco Nardella, che la chiama in causa. Lei, opportunamente, ha detto che sarà avviata "una verifica interna alla polizia municipale" e che gli eventuali responsabili "saranno sanzionati disciplinarmente". Giusto. Ma, forse, può essere questa l'occasione per promuovere proprio a partire da Firenze una iniziativa pubblica che arrivi a porre al bando quella tecnica di fermo perché rivelatasi così altamente pericolosa.

Prevedibilmente, gli appartenenti ai corpi di polizia diranno che il "codice Floyd" si rende necessario a causa della reazione del fermato. Ma questo evidenzia un problema grande come una casa: troppi episodi dicono inequivocabilmente che la formazione tecnica dei membri delle polizie, pure sotto il profilo strettamente operativo, rivela gravissime carenze. Anche quando non vi sia alcuna volontà esplicitamente aggressiva.

Dunque, cancellare il "codice Floyd" è un primo passo per ridurre il numero delle vittime incolpevoli degli abusi causati da appartenenti, talvolta altrettanto incolpevoli, agli apparati dello Stato democratico.

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