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Napoli tra sacro e profano: la zuppa di cozze e il giovedì santo

Giovedì Santo, uguale zuppa di cozze. E' un abbinamento, un collegamento gastronomico, sociale e storico che è poco conosciuto o compreso oltre i confini della tangenziale partenopea, ma che a Napoli è un caposaldo del modo molto pagano che la città ha di celebrare le festività, comprese (e soprattutto) quelle religiose. È una tradizione antica quella che lega la città, la festa e la ricetta. Ma non troppo. Tutto nasce in fatti, in epoca borbonica, alla corte di un Re goloso.

L'usanza di preparare questo piatto per onorare la particolare ricorrenza, è nata infatti sotto il regno di Ferdinando I di Borbone, lo stesso monarca che si vestiva da popolano e si nascondeva tra i vicoli per poter assaggiare le prime pizze a portafoglio, i fritti nei cuoppi ante litteram e soprattutto qualsiasi altro piatto goloso e semplice che si discostasse dalle usanze di corte. Di fatto Ferdinando I fu il collante tra la cucina nobile partenopeaa e quella di strada,con i suoi modi di fare che però a molti non piacevaon. Tra questi, leggenda narra ci fosse il Frate Gregorio Maria Rocco che, in osservanza delle regole religiose che chiedono una Settimana Santa morigerata anche a tavola, gli fece promettere di non eccedere con la gola. E se non del tutto, almeno nei giorni a ridosso di Pasqua. Poco portato all'ottemperanza delle regole e alla disciplina, il Re trovò un escamotage, facendosi preparare un piatto di magro, tecnicamente, ma molto goloso: la zuppa di cozze. Che grazie al sapore piccante e ad altri piccoli atteggiamenti in cottura, tutto è fuorché un piatto triste e "in bianco".

"La Zuppa di cozze è un must della sera del Giovedì Santo a Napoli" racconta Assunta Pacifico, ovvero "'A figli d'o marenaro" di via Foria: ristorante tradizionale da sempre, che proprio sulla zuppa di cozze ha creato tutta la sua fortuna imprenitoriale. "E' importante – racconta – poiché rappresenta, simbolicamente, l'ultima cena di Gesù Cristo prima della “Passione”. La preparazione di questo piatto è un vero e proprio rituale" in bilico tra sacro e profano.

Come è composta? La signora Pacifico insegna e snocciola ingredienti: "cozze, polipo, maruzzielli, vongole e fasolari che abbracciano la fresella leggermente inumidita (nel caso del ristorante che dirigo, ho brevettato un soffione che irrora il piatto), condita con la giusta dose de '"o russ", un particolare olio di peperoncino piccante". Nel ristorante, nello specifico, la fresella viene irrorata con un doccione brevettato in modo da non renderla troppo molle e guarnita con un tarallo napoletano sbriciolato, che nella ricetta tradizionale non è presente. "Da secoli questa pietanza viene consumata dopo aver finito il giro dei Sepolcri, ed è importante per la sua capacità di coniugare semplicità e ricercatezza", in cui la vera difficoltà sta nel reperire prootti freschi e dosare il tutto nl modo giusto.

L'ultimo segreto? "Il polpo va scelto verace, calloso e va cotto sapientemente "inta 'llacqua soja".

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