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L’appello di Sea Watch 3 con 201 migranti a bordo: “Dateci un porto”

"Un diritto, non un favore". Inascoltato, chiede ancora porto l'equipaggio di Sea Watch 3, da giorni davanti alle coste siciliane. All'Isola, la nave ong si è dovuta avvicinare in fretta dopo cinque interventi di soccorso per consentire il trasferimento medico urgente di alcuni dei naufraghi. Cinque, fra cui due donne vicine al parto, con il primo medevac – così si chiama in gergo – altri quattro con due trasferimenti successivi. Le ustioni provocate dal carburante erano troppo gravi e troppo estese per essere curate a bordo.

Migranti, un altro naufragio nel Mediterraneo: le immagini drammatiche dei salvataggi di Sea Watch

"Le 201 persone rimaste con noi devono poter sbarcare e ricevere assistenza al più presto. Il meteo è anche in peggioramento, dopo tutto quello che hanno passato hanno diritto a un porto sicuro", è l'appello che arriva da Sea Watch 3. A bordo ci sono anche trentotto donne, di cui una incinta, due neonati e trenta minori non accompagnati. "A livello sanitario, la situazione è di difficile gestione – dice Ruby, una delle dottoresse imbarcate su Sea Watch – ma lo staff medico e tutto l'equipaggio si stanno prendendo cura dei naufraghi".

A preoccupare sono soprattutto le condizioni dei superstiti al naufragio al largo della Libia che solo grazie all'intervento della nave ong non si è trasformato nell'ennesima ecatombe. O almeno, non del tutto. Quando Sea Watch 3 ha raggiunto la zona da cui è partito il mayday, del gommone su cui viaggiavano almeno 53 persone rimanevano solo rottami e pezzi di tubolare ormai sgonfi. In trentotto sono stati salvati dalle onde, tutti gli altri risultano ufficialmente dispersi. Di fatto, si spera solo che il mare restituisca almeno i loro corpi.

Chi è sopravvissuto di quelle ore passate in acqua, porta i segni dentro e fuori. Dopo i trasferimenti medici urgenti, sulla nave ong sono ventinove i reduci da quella traumatica esperienza. "Sono estremamente provati, perché la loro situazione psicologica non peggiori ulteriormente è necessario che tocchino terra", fa sapere lo staff medico. In più, sottolineano, ci sono venti gravi ustionati le cui condizioni potrebbero facilmente peggiorare e trenta adolescenti che vanno tutelati. Per questo, ribadiscono, è necessario che tocchino terra in fretta. Ma alla richiesta di autorizzazione allo sbarco, le autorità italiane non hanno ancora risposto. Nel frattempo, nel Mediterraneo centrale è tornata Mar Jonio di Mediterranea saving humans. La nave ong è partita dal porto di Mazara del Vallo quattro giorni fa. "Torniamo in mare – ha fatto sapere l'equipaggio- per salvaguardare la vita umana, proteggere e accogliere chi fugge dalla Libia".

Un inferno per chi ci passa, con gironi ormai noti di torture, abusi, violenze, detenzioni arbitrarie. "Sappiamo che la Libia non è un posto sicuro per migranti e richiedenti asilo. Io ci sono stato cinque anni e so benissimo cosa succeda lì. Molti dei migranti che cercano di raggiungere l'Europa passano dalla Libia, ma regolarmente finiscono nei centri di detenzione. Lì si vive in una situazione disperata. Molte delle persone che stanno lì hanno gambe rotte per le torture e non c'è alcun tipo di assistenza medica", racconta uno dei sopravvissuti sui canali di RefugeesfromLybia. "Chi cerca di raggiungere l'Europa spesso scappa dalla guerra. arrivano dal Sudan, Sud Sudan, Etiopia, Eritrea, Yemen, Siria. E questi sono solo alcuni esempi. Cercano protezione, sicurezza, vogliono solo vivere in pace".

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