Due sentenze nell'arco di un mese danno ragione a Rosanna Spatari, titolare della.Torteria nel centro di Chivasso La donna era diventata il simbolo della ribellione contro le restrizioni anti-Covid, che sfidava continuando a organizzare aperitivi, che radunavano centinaia di persone no vax e no Green Pass, nonostante le imposizioni a tenere chiuso il locale. E questo le aveva provocato la reazione sempre più agguerrita delle istituzioni, che dopo le multe avevano fatto scattare i sequestri, che erano durati per mesi, anche dopo la fine del lockdown.
Una querelle combattuta dalla titolare anche per le vie legali, difesa dall'avvocato Alessandro Fusillo, che ora le sta dando in parte ragione. Nei giorni scorsi il giudice di pace di Ivrea ha accolto il ricorso della Spatari contro il provvedimento del prefetto di Torino che aveva imposto una prima chiusura del locale per cinque giorni, dopo che il 31 ottobre 2020 un controllo della guardia di finanza aveva aveva sorpreso una decina di clienti nel locale dopo le 18, che in quel momento era l'orario consentito dalle limitazioni anti-Covid. Ma il giudice Giampiero Caliendo ha decretato che non c'è modo di avere riscontri tecnico-scientifici sull'efficacia della chiusura alle 18 contro la diffusione del virus. "Non si nega l'esistenza di un margine di discrezionalità da parte delle istituzioni – ha scritto – ma l'importanza di tutti gli interessi costituzionali coinvolti avrebbe imposto una motivazione qualificata". Dunque "sussiste un vizio di motivazione", che rende "condivisibili e fondate" le ragioni della Spatari.
Ed è la seconda volta che un tribunale si pronuncia a favore della barista chivassese. Già un mese fa la Corte di Cassazione aveva ordinato il dissequestro del locale. I sigilli erano stati messi per "inosservanza dei provvedimenti dell'autorità". Nel dettaglio Rosanna Spatar non aveva osservato il verbale di chiusura per cinque giorni emesso dai carabinieri il 27 gennaio 2021, l'ingiunzione del 19 aprile del prefetto e nemmeno le richieste di presentazione al comando della polizia locale di Chivasso il 29 gennaio e il 3 marzo 2021. Il riesame aveva confermato la bontà del sequestro, ma la titolare aveva fatto ricorso anche in Cassazione: ora secondo la Suprema Corte il fatto non è previsto dalla legge come reato con riferimento all'articolo 650 del codice penale, invocato nella misura dal momento che il decreto del 25 marzo 2020 aveva depenalizzato il reato. Dunque la sanzione adeguata sarebbe stata solo una multa da parte della prefettura ed eventualmente dalla chiusura del locale fino a un massimo di 30 giorni.
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