Potessi esprimere un desiderio, vorrei che la sudicia frase “mettere le mani nelle tasche degli italiani” fosse cancellata per sempre dal linguaggio politico nazionale. È da molti anni nel repertorio fisso della destra populista, dei suoi polemisti e dei suoi leader, ed è stata rispolverata dall’indiscusso fondatore del populismo italiano, Berlusconi, l’altro giorno a Roma, tra le ovazioni degli astanti.
Ogni discussione sulla politica fiscale, ovviamente, è del tutto lecita. Si può essere favorevoli o contrari alla qualità e alla quantità di ogni singolo prelievo, e giudicare equo o iniquo ogni possibile regime fiscale. Ma le mani nelle tasche delle persone, contro la loro volontà, di solito le mettono i ladri, e dunque quell’espressione equivale, pari pari, a dire che le tasse sono un furto e lo Stato un ladro. È così che, nella mentalità spicciola di molti italiani, spero non la maggioranza, si intende l’atto costitutivo dell’appartenenza alla propria comunità: pagare le tasse.
Siccome i ladri, con ogni evidenza, sono gli evasori, sarebbe ora di considerare in tutta la sua volgarità d’animo e di pensiero quella frase così abusata, così triste e soprattutto così calunniosa, che piccona alla base il patto sociale. Pago le tasse da una vita e ho avuto spesso l’impressione di pagarne troppe, soprattutto in rapporto a chi non le paga affatto. Ma non ho mai pensato, nemmeno per un secondo, che qualcuno mi stesse mettendo “le mani nelle tasche”. La struttura stessa del Welfare, l’idea stessa della solidarietà sociale, è ancora ciò che segna nel profondo, direi antropologicamente, la differenza tra destra e sinistra.
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