La psilocibina, una sostanza psichedelica presente in alcuni funghi allucinogeni, potrebbe favorire maggiori connessioni tra le diverse regioni del cervello nelle persone che soffrono di depressione, il che potrebbe facilitare il superamento di schemi e concentrazioni su se stessi.
Lo suggerisce un insieme di due studi, pubblicati sulla rivista Nature Medicine, condotti dagli scienziati dell'Università della California a San Francisco e dell'Imperial College di Londra. Il team, guidato da Robin Carhart-Harris e David Nutt, ha coinvolto quasi 60 partecipanti con depressione, che sono stati sottoposti a regimi di trattamento con la psilocibina o un placebo. I ricercatori hanno anche eseguito delle scansioni cerebrali con risonanza magnetica per valutare le risposte cerebrali alla sostanza psichedelica.
di
Paola Emilia Cicerone
Nel primo lavoro tutti i partecipanti con depressione acuta e resistente ad altri approcci, erano a conoscenza del trattamento a base di psilocibina. In un'altra sessione di esperimenti, invece, gli studiosi hanno reclutato persone con depressione non estremamente grave, che sono state divise in due gruppi: alcuni hanno ricevuto la sostanza psicoattiva e altri un placebo. Tutti i pazienti hanno seguito lo stesso regime di psicoterapia. Le scansioni con risonanza magnetica sono state eseguite prima e dopo il trattamento.
Stando a quanto emerge dall'indagine, il trattamento con psilocibina ha alterato le connessioni all'interno delle aree cerebrali, riducendo i legami strettamente correlati alla depressione e aumentando quelli che invece favoriscono il benessere psicologico. Il miglioramento dei sintomi depressivi, riportano gli scienziati, era correlato ai cambiamenti nel cervello, che restavano evidenti anche dopo tre settimane dalla seconda dose di psilocibina, al termine del periodo di studio.
Queste alterazioni cerebrali non sono state osservate nei pazienti assegnati al gruppo placebo. "Ricerche precedenti – afferma Carhart-Harris – suggeriscono che questi effetti possono verificarsi durante l'assunzione di sostanze psichedeliche, ma è la prima volta che si riscontrano a distanza di settimane dal trattamento. Non sappiamo ancora per quanto tempo sia possibile mantenere i cambiamenti dell'attività cerebrale dovuti alla psilocibina. Sarà necessario proseguire le indagini e approfondire queste conoscenze per rispondere agli interrogativi ancora insoluti".
"Sappiamo che in alcuni casi si verificano delle ricadute – conclude Nutt – per cui ipotizziamo che il cervello possa riprendere gli schemi di attività tipici della depressione. I nostri risultati sono incoraggianti, ma è importante precisare che i pazienti non dovrebbero automedicarsi con la psilocibina".
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