“Molti cavalli non sanno più cosa fare con il loro corpo, a forza di essere costretti in posizioni e movimenti innaturali. Devono ritrovare la libertà, imparare di nuovo ad essere cavalli”. Philippe Karl accarezza il muso di una maremmana, uno di quei cavalli sportivi giovani ma già provati nel fisico e nello spirito che vengono “recuperati” dagli istruttori della Ecole de Légèreté, la Scuola della Leggerezza da lui fondata nel 2004 e oggi diffusa in tutto il mondo.
Monsieur Karl, classe 1947, ha trascorso 13 anni come Ecuyer al Cadre noir di Saumur, la più antica scuola di equitazione in Francia, famosa per le esibizioni di arte equestre. Poi ha deciso di dedicarsi all’insegnamento, che ritiene essere l’anello debole dell’equitazione moderna, troppo orientata al risultato a scapito del benessere del cavallo.
Lo incontriamo a Vermezzo, provincia milanese, durante uno degli stage che tiene periodicamente anche in Italia: “Il livello di preparazione degli istruttori è ovunque un grande problema, non ricevono una educazione di qualità e duratura”. Migliorare la formazione dei cavalieri e cambiare le regole delle competizioni è, secondo Karl, il modo per fermare quella deriva denunciata 16 anni fa in un libro che fece molto rumore.
Derive del dressage moderno fu pubblicato nel 2006. Lei contestò la correttezza delle linee guida di questa disciplina, che dovrebbe essere la base di tutte le altre, denunciando una generale mancanza di rispetto nei confronti del cavallo. In questi anni è cambiato qualcosa nel mondo dell’equitazione?
“Sì, molta gente ha aperto gli occhi e mostrato interesse, quel libro è stato tradotto in 8 lingue, ma devo dire che il mondo dell’equitazione “ufficiale” è ancora chiuso in modo quasi ermetico. Chiuso tanto alle nuove conoscenze scientifiche quanto agli insegnamenti dei maestri del passato: La Guérinière, Baucher, il Generale L'Hotte, tutti in modo diverso hanno spiegato che per andare a cavallo servono mani, gambe e assetto, non le redini di ritorno”.
Eppure anche nel professionismo qualcosa sembra muoversi, pensiamo allo scandalo intorno al video del cavaliere tedesco Ludger Beerbaum o a quanto accaduto durante la prova di salto ostacoli del pentathlon alle ultime Olimpiadi. Le autorità sono intervenute. Che valutazione ne dà?
“Quando c’è uno scandalo le autorità devono reagire, sono sotto pressione e non possono fare altrimenti. Adesso poi con i telefonini e i social media è più difficile nascondere o far finta di niente e la gente si indigna, protesta. Ma la mia esperienza mi dice che sono cambiamenti di superficie, fatti per l’opinione pubblica, mentre i cambiamenti profondi purtroppo non ci sono. Prendiamo ad esempio l’uso del capezzino col chiudibocca: si sa che provoca problemi seri al cavallo, ma invece di abolirlo si dice di metterlo abbastanza largo da farci passare due dita. Che senso ha? Idem per i segni lasciati dagli speroni: invece di educare i cavalieri all’uso della gamba, mettiamo ai cavalli la fascia di rispetto. Sono trucchi, escamotage per mascherare i problemi invece di risolverli. Insomma, si dà solo l’impressione di cambiare le cose, il sistema resiste”.
Ritiene che il mondo del professionismo e dell’agonismo sia incompatibile con la buona equitazione?
“Io preferisco parlare di equitazione giusta, quella fatta di cose efficaci perché naturali. E’ quando si va contro la natura del cavallo che servono il chiudibocca, le redini di ritorno e tutti gli altri marchingegni. Vedo troppi cavalli di incredibile qualità distrutti o pericolosi già nei primi anni di lavoro. Bisogna fare qualcosa. Il mondo delle competizioni deve cambiare le sue regole”.
Lei in passato ha partecipato ad alcune competizioni: restandone fuori non si rischia di ritardare il cambiamento e di rinchiudersi in un recinto?
“Oggi per emergere, soprattutto nelle gare di dressage, devi fare l’opposto di quello che è giusto per il cavallo. Ripeto: bisogna cambiare il sistema e il sistema giusto è quello giusto per il cavallo”.
Quali regole vorrebbe introdurre? Cosa proporrebbe alle varie Federazioni?
“Bisognerebbe abolire il chiudibocca: se il cavallo apre la bocca e protesta vuol dire che la mano non è buona. Vietiamo l’uso delle redini di ritorno, alcuni Paesi già lo fanno nei campi prova. E poi l’incappucciamento: 40 anni fa era inaccettabile vedere il naso del cavallo dietro la verticale, oggi è normale. Tempo fa avanzai alcune proposte alla Federazione tedesca, ma non ci fu un seguito”.
Aspettando che cambino le regole, cosa si può fare?
“Dare una formazione di qualità agli istruttori, che sono poco preparati e mal pagati. Va bene studiare la teoria, ma poi bisogna verificare la messa in pratica. Un istruttore competente addestra e monta i cavalli dei suoi allievi, non si limita a gridare in mezzo al campo. E bisogna mettere fine all’ossessione delle gare, anche se è questo che alimenta il business. L’equitazione deve tornare ad essere una disciplina, deve educare i cavalieri e valorizzare i cavalli. E’ possibile arrivare ad alti livelli con un cavallo ordinario. Certo è più difficile, ma dà anche più soddisfazione che partecipare ad un Gran Premio con un cavallo da 200mila euro”.
Lei ha fondato la Scuola della Leggerezza: questo concetto come si applica all’equitazione?
“Facendo noi il meno possibile e lasciando che sia il cavallo a fare. La ragione per cui dovremmo montare a cavallo non è vincere o far impressione sugli altri, magari a spese dell’animale, ma diventare una persona più umana e intelligente”.
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