La curva scende, il numero degli infetti cala lentamente e negli ospedali si liberano posti. L’impegno della sanità contro il coronavirus, se davvero si sta avvicinando l’attesa stagione con pochi casi, non è destinato a interrompersi ma piuttosto a proseguire in modo diverso. C’è infatti da affrontare il Long Covid, cioè quella condizione che nella definizione dell’Istituto superiore di sanità riguarda le persone colpite da sintomi a quattro settimane dall’infezione e con tampone negativo. I problemi in certi casi continuano a essere presenti addirittura a 12 settimane dalla diagnosi.
Proprio l’Istituto ha ricevuto un finanziamento dal ministero alla Salute per mettere in piedi una rete di centri clinici che condividano le strategie per affrontare questa malattia. Con l’aiuto degli enti di tre regioni, Friuli Venezia Giulia, Toscana e Puglia, intanto si sta ricostruendo la portata del fenomeno, analizzando dati degli ospedali e dei medici di famiglia. Inoltre è stato avviato un censimento dei centri già esistenti. In tutte le Regioni ci sono ospedali dove soprattutto le cardiologie, le pneumologie e le neurologie sono impegnate a visitare persone che hanno strascichi importanti dell’infezione. L’idea è di mettere insieme tutte le conoscenze specialistiche acquisite per creare un protocollo di cura ed essere così in grado di dare risposte omogenee ai pazienti, con protocolli sia per la diagnosi che per le cure, farmacologiche e non.
Per prevedere l’impatto sui servizi sanitari del Long Covid bisogna intanto comprendere quanto sia diffuso. L’Istituto superiore di sanità cita alcuni studi. Per l’Oms, ad esempio, un quarto di coloro che hanno avuto il Covid manifestano sintomi dopo quattro-cinque settimane. La prevalenza calcolata nel Regno Unito è invece del 13% ma si tratta di un’analisi dei casi a 12 settimane dall’infezione. Riguardo a chi ha avuto la malattia in forma più grave, l’Università di Milano e l’Istituto Mario Negri hanno studiato i dati dei pazienti assistiti in Lombardia osservando che circa un terzo dei ricoverati, cioè di coloro che hanno avuto una forma più grave di malattia, ha sintomi dopo un anno. Qualunque sia il numero corretto, sono centinaia di migliaia gli italiani che hanno avuto in passato o avranno bisogno da qui in avanti di almeno una visita, se non di più. A essere più colpiti dal Long Covid sono le donne, gli anziani, le persone sovrappeso o obese e appunto chi è stato ricoverato. E più sono le patologie preesistenti di chi è finito in ospedale, più gravi sono le conseguenze.
I sintomi più diffusi del Long Covid, sempre secondo l’Istituto, sono l’astenia, cioè la debolezza, "importante e persistente" ma anche l’anoressia, la febbre che ritorna, dolori di vario tipo e la stanchezza, anche mentale con difficoltà di concentrazione e problemi di memoria. "Ad oggi — scrivono i ricercatori — è stata riscontrata un’ampia gamma di danni a lungo termine su organi del sistema respiratorio, cardiovascolare, nervoso, gastrointestinale, ematologico, endocrino, dell’apparato otorinolaringoiatrico, sulla cute e sui reni". Proprio la grande varietà di sintomi che possono essere provocati dal Long Covid richiede la nascita di servizi di cura dedicati dove devono essere messe insieme diverse competenze specialistiche.
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