Le fotografie in una fotografia. C’è un affascinante e doloroso cortocircuito in questa immagine: una donna, tra le macerie di una casa bombardata e distrutta, si china su alcune vecchie fotografie. Le contempla, e si prende il tempo – nella distruzione – di fare i conti con ciò che si è salvato. È una salvezza fragile ma duplice: perché non si sono salvati solo quei ritagli di carta; si è salvata anche la storia in bianco e nero che essi raccontano. È un’illusione? Forse sì, però non c’è essere umano che se ne privi, che non la alimenti. Alla periferia di Chernihiv è un’illusione disperata, perché la guerra distrugge gli album di famiglia del passato, ma anche gli album di famiglia del presente. Lascia vuoti nelle fotografie di gruppo future, rompe legami, rende impossibile la 'memoria della memoria'.
Uso l’espressione che dà il titolo a un libro molto bello della scrittrice russa Maria Stepanova. Apre un vecchio baule pieno di oggetti e di fotografie, e sente la vertigine non del ricordo bensì del non-ricordo. Perché tanti di quei volti 'di famiglia' le risultano estranei, sconosciuti. Come si può ricordare tutto, ricordare tutti?
Insomma, che cosa avevo in mente, cosa mi accingevo a fare in tutti questi anni? Volevo costruire un monumento a queste persone, fare in modo che non si disperdessero senza una menzione, senza un ricordo. Intanto, alla prova dei fatti, è risultato che ero proprio io la prima a non ricordarmi di loro.
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