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Augusta Masters: nel freddo comanda Scheffler, ma Smith non lo molla

Augusta (Stati Uniti) – Se venerdì era stato il vento, sabato è stato il freddo a bussare alla porta del Masters. In una primavera mai così algida da queste parti, tanto da impoverire la fioritura delle migliaia di azalee, quinta inconfondibile di questo percorso, il termometro è sceso anche attorno ai 10°. E siccome il vento, sia pur con minor arroganza, ha continuato a fare la sua parte, la temperatura percepita aveva un che di novembrino. Ma né vento né freddo hanno impensierito troppo, per tre quarti di giornata, quello che si stava avviando a consacrarsi dominatore di questo specialissimo torneo: Scottie Scheffler, numero 1 del mondo in carica da poche settimane, ha continuato a macinare birdie, a limitare al minimo gli errori, a staccare la concorrenza, fino a contare su 7 colpi di vantaggio.

Ma nel golf non c’è vantaggio che tenga a un momento di sbandamento. Due bogey alla 14 e alla 15 Scheffler è riuscito a compensarli almeno in parte con un birdie alla 17; ma un drive sparato in bosco all’ultima buca ha riaperto tutti i giochi, svuotando non poco il cuscinetto di colpi sul quale avrebbe potuto riposare tranquillo nell’ultima notte prima dell’esame finale. Al suo 71 ha risposto infatti con un 68 il 28enne australiano Cameron Smith, avvicinandolo a tre soli colpi.

Smith, chioma e baffi da revival anni ‘70, sa quel che si deve fare per vincere e soprattutto per far bene su questo campo. In gennaio ha colto il suo quarto successo in carriera stabilendo il record di -34 sul par a Kapalua, Hawaii. Qui ad Augusta ha già un secondo posto ex aequo nel ‘20 e altri due top 10 su 5 partecipazioni in cui non ha mai mancato il taglio. Dunque Sheffler avrà bisogno di un grosso sforzo di concentrazione, con uno così alle calcagna. E anche la tradizione che vuole le seconde nove buche dell’ultimo giorno il vero momento del giudizio finale del Masters avrà ronzato nelle orecchie di Sheffler nella notte di vigilia. Sull’importanza delle ultime 9 buche di questo torneo potrebbero disquisire a lungo campioni come McIlroy, Spieth o lo stesso nostro Molinari che proprio quando stavano intravedendo lo striscione dell’arrivo hanno dovuto chiedere perdono ai sogni, sfumati al tramonto.

Non potrà più inseguire il suo, di sogno, Tiger Woods: 71 il giovedì, 74 venerdì, 78 sabato, con scivolata al 41° posto. Un calando comprensibile nelle sue attuali condizioni ma che non ha mancato di deluderlo, nonostante l’immutabile affetto del pubblico (e forse anche proprio per quello). Stavolta a tradirlo è stato il putt, il colpo che serve a imbucare una volta raggiunto il green. Uno come lui, che proprio sull’implacabilità del putt aveva messo le fondamenta della sua carriera leggendaria, ha dovuto ingoiare una statistica spietata: per quattro volte ha impiegato tre putt per imbucare; per una volta (non senza uno sgradevole sovrappiù di sfortuna) addirittura quattro. Chi gioca a golf sa di che sciagura si tratti. Intanto però è tornato nel suo mondo e ha dimostrato di poterci restare degnamente, a dispetto dell’età e degli acciacchi. Ma uno come lui non si accontenterà di questo.

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