Ragazze straniere dal fragile profilo emotivo e psicologico prima adescate e poi soggiogate, fino a essere ridotte in uno stato di schiavitù: è lo scenario svelato dalla polizia che ha arrestato 20 persone (12 in carcere e 5 ai domiciliari), a Bari e in altri comuni della Puglia, indagate del reato di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione.
Il flusso di denaro generato a spese delle donne è stimato in circa 3 milioni di euro annui. In tutto sono stati contestati agli indagati 37 capi d'imputazione. Alcuni degli indagati sono accusati di aver svolto il ruolo di 'lover boys', adescando le vittime nel Paese di origine, talvolta utilizzando i social network e altre fonti aperte per mostrare alle vittime il proprio elevato tenore di vita e alimentando così l'illusione di un'esistenza migliore all'estero.
Le indagini hanno preso spunto dalle denunce presentate da alcune vittime nella seconda metà del 2017 e hanno consentito di ricostruire un'associazione criminale composta da cittadini rumeni, che collaboravano, all'occorrenza, con persone della delinquenza locale. Lo sfruttamento della prostituzione scoperto degli investigatori ricalca lo schema delittuoso noto in ambito europeo con l'espressione 'Lover Boys'.
Una volta stabilito il contatto con le vittime designate, gli indagati hanno sfruttato la condizione di particolare fragilità delle donne per vincolarle emotivamente a sè. Manipolandone i sentimenti, gli accusati le hanno sottoposte a vessazioni via via crescenti, spacciate per 'prove d'amorè, spingendole a raggiungerli in Italia, fino ad esercitare il totale controllo psicologico sulle vittime ed avviarle alla prostituzione, gestendone per intero i proventi.
Gli italiani hanno fornito – assieme ad altri membri del gruppo – assistenza logistica e operativa, accompagnando le donne sui luoghi deputati alla prostituzione e assicurando loro un alloggio da cui, però, non avrebbero avuto alcuna possibilità di allontanarsi. Non è mancato – secondo l'accusa – il supporto di alcune donne, compagne dei membri dell'associazione, le quali hanno contribuito a segregare e sorvegliare le vittime, anche con il controllo delle comunicazioni tramite cellulari e social network e con l'impedimento ad allontanarsi dai luoghi in cui erano costrette a vivere.
A marzo 2017 una delle giovani vittime fu travolta da un'auto mentre era in strada, da sola, subito dopo aver tentato di sottrarsi allo sfruttamento: aveva riportato una grave frattura alla gamba sinistra. Le attività d'indagine hanno consentito di accertare che l'aggressione, un vero e proprio tentato omicidio, era stata disposta dal leader del gruppo criminale, conosciuto dalle vittime con il soprannome 'Il Principe'.
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