Scrivere di Alfredo Castelli è impresa titanica. Si tratta di un un creatore di fumetti che mentre inventa personaggi originali riesce a intercettare di volta in volta un pezzettino di storia dell’arte disegnata e stampata dalle sue origini a oggi, interpolando, mixando e alla fine inventando nuovi mondi. Un manipolatore di immaginari che sicuramente ha dentro di sé una aspirazione da Biblioteca di Babele di questo medium.
Quasi ogni genere e forma di fumetto entra ed esce di continuo dai suoi lavori, anche attraverso la reinterpretazione che affida al suo personaggio feticcio, il Buon Vecchio Zio Martin Mystère. Attore consumato veste i panni ma anche gli stilemi, e i formati, degli eroi del fumetto attraverso la sua storia produttiva, spesso anche sdoppiandosi in versioni alternative che attraversano il tempo.
È la smodata passione per l’invenzione che lui stesso ci racconta nell’introduzione a uno dei suoi libri dedicato ai “falsi”: "Forse il gusto per la finzione (o, se preferite, 'per la falsificazione') è connaturato con la professione stessa di narratore, che si basa, appunto, sulla costruzione di realtà fittizie e al tempo stesso credibili", e prosegue, "abbiamo rilevato come molti scrittori siano appassionati di illusionismo […]. E l’illusionismo altro non è se non l’arte di falsificare la percezione (ci sono, tra l’altro, molte similitudini tra la struttura di un gioco di prestigio e quella di un racconto, ma questa è tutta un’altra storia)".
Questa visione programmatica evoca il J.L. Borges che, in Finzioni scrive di "Pierre Menard, autore del Chisciotte", raccontando il progetto letterario di un plagiatore che copia esattamente il testo originale, dove però anche il semplice imitare, ma con le consapevolezze del tempo presente, sembra riuscire a trasformare in profondità il testo attualizzandolo. Questa riflessione è al contempo ironicamente falsa e profondamente vera, e crea un loop inarrestabile di interpretazione, mentre riflette proprio su questo spazio del plagio come luogo di invenzione di cui parla Castelli.
di
Luca Raffaelli
In Italia l’idea controculturale del falso viene fatta coincidere con la diffusione delle tattiche situazioniste e il famoso numero di Re Nudo del 1971, falsificato per contestazione dagli scissionisti della rivista. Prosegue con la fondazione a Roma del CDNA Centro Diffusione Notizie Arbitrarie del gruppo degli autori della rivista Zut (1976) che in Il movimento e il falso, a firma di Angelo Pasquini e Piero Lo Sardo, teorizza la "falsificazione del sistema informativo" come strumento di svelamento e rivolta (un'idea influenzata anche dallo scandaloso pamphlet a firma Censor, il Rapporto veridico sulle ultime opportunità di salvare il capitalismo in Italia, 1975, del situazionista Gianfranco Sanguineti) e con l’esperienze post dada del foglio Il complotto di Zurigo, ideato da Pablo Echaurren e Maurizio Gabbianelli nel 1977.
È una storia che ci riporta inevitabilmente fino a il Male, la rivista satirica di massa condotta da Vincino che ribaltò l’idea di fumetto, comunicazione e politica nelle riviste italiane proprio attraverso i falsi. Questo racconto controculturale va messo in relazione con un progetto ancora antecedente, nato dal gruppo che con Alfredo Castelli dà vita alla rivista seminale Tilt, pensata originariamente come autoproduzione. Questa storia viene narrata in un libro che esce in questi giorni, La preistoria di Tilt, a firma degli stessi autori dell'epoca: Marco Baratelli, Mario Gomboli, Carlo Peroni oltre che appunto Castelli, che ne ha curato l’edizione per Cutup Publishing.
Ci dice Castelli che il progetto nasce su ispirazione di un libretto pubblicato nel 1955, Inside Mad, che riproduceva una selezione di vignette parodie e fumetti provenienti dalla rivista Mad di Harvey Kurtzman, l’unica rimasta in piedi dopo la censura che aveva colpito la casa editrice che la produceva, la EC. Questo editore si distingueva per le sue pubblicazioni di fantascienza e horror che hanno ispirato il movimento underground americano, e pose nei suoi fumetti questioni civili e progressiste attraverso tematiche pulp.
L’influenza dei fumetti della EC è costantemente alla base del lavoro di Castelli in tutto l’arco della sua produzione: storie nere e di orrore che la rivista Horror dell’editore Sansoni pubblicò tra il 1969 e il 1972 (dove appare la strip di Zio Boris fra le altre cose), la fantascienza, incrociata continuamente con tematiche di sorveglianza e controllo. Pensiamo agli uomini in nero che attraversano le sue storie. Un vero universo che fa riferimento senza dubbio proprio a questa fenomenale esperienza editoriale che tanto influsso ha avuto poi nella rivoluzione del mondo del fumetto operata dai vari Crumb o Spiegelman.
di
Luca Valtorta
Scrive Castelli: "Nel ‘66 cominciai a lavorare con Mario Gomboli, che a sua volte collaborava con Diabolik. Dato che le sue autrici, Angela e Luciana Giussani, avevano già accettato senza problemi un mio Scheletrino presenta l’infanzia di Diabolik (Scheletrino è il suo primo fumetto, ndt.), proponemmo una parodia più lunga da fare illustrare a un disegnatore professionista possibilmente 'in stile Mad'". Questo disegnatore fu Carlo Peroni che fu poi subito coinvolto in Tilt per cui illustrò, con l’assistenza di Dani Fagarazzi e senza compenso, le ottanta tavole che il progetto collettivo aveva deciso di realizzare.
Del progetto si interessò poi Florenzo Ivaldi (che stava pubblicando Il sergente Kirk) e della rivista uscirono nell’autunno 1968 due numeri di quaranta pagine ciascuno. C’erano un falso Diabolik, una parodia degli spaghetti western e del romanzo investigativo, un falso Linus (Vinus) con i contributi, falsificati anche quelli, dei principali autori della rivista che era un caso culturale al momento. Tra le altre cose Topogino, remake di Topolino che anticipa clamorosamente il Perchè Pippo sembra uno sballato di Andrea Pazienza. Insomma, un progetto esplosivo e in anticipo sui tempi, visto che solo una decina di anni dopo queste intuizioni corroborate di una più intensa verve politica avrebbero fatto un terremoto nella stampa italiana.
La chiusura della rivista porta più tardi Tilt a stabilirsi come rubrica fissa sulle pagine del Corriere dei ragazzi dove dal 1970 Castelli aveva cominciato a lavorare, pubblicando le storie de L’Ombra o degli Aristocratici, che riscuotono un successo enorme. La rubrica sul Corriere smorzava di molto le asprezze della rivista, e continuava a pubblicare di tanto in tanto delle false copertine e una volta, nell’aprile ‘72, una banconota da diecimila lire da bruciare per accendersi una sigaretta disegnata da Bonvi.
di
Gabriele Di Donfrancesco
La carta moneta rifotografata era stata già protagonista nel numero 15 del 1971 di Horror in un’altra storia di due pagine, Il sogno del vecchio musicista – Un’opera da mille lire, fatta interamente ricomponendo le vignette a partire dalla banconota dedicata a Giuseppe Verdi, una operazione di collage e il deturnamento che più tardi avrebbe praticato a lungo Stefano Tamburini. Ma in realtà l’invenzione più straordinaria su quelle pagine fu quella casuale che convertiva l’intelligenza e l’arguzia in illimitata stupidità, abbracciando una scrittura demenziale che avrebbe di lì a poco occupato in molti modi i media generalisti. Nel settembre dello stesso anno esplode per esempio il fenomeno Cochi e Renato nella trasmissione televisiva Il buono e il cattivo.
Avvenne per caso nel gennaio ‘72 la creazione dell’Omino Bufo con una striscia, anzi ‘strissia’, che doveva coprire la mancanza della testata di Tilt, scomparsa in fotocomposizione. Castelli con tratto tremolante e infantile disegna un personaggio che ripete una battuta già conosciuta e poi ride, coinvolgendo da subito il lettore in un gioco di complicità, rimandi e nonsense che decreta il successo e la persistenza del personaggio. A questo straordinario personaggio si dedica dal 9 al 27 aprile, presso la CArt Gallery, via del Gesù 61, Roma, una bella mostra, Cinquant’anni bufissimi: mezzo secolo con l’Omino Bufo, che ripercorre proprio questa storia particolare.
di
Gabriele Di Donfrancesco
In effetti l’Omino Bufo attraversa molte altre avventure editoriali fino a essere anche ridisegnato da Francesco Artibani tra il 1992 e il 2000, determinando anche una bufizzazione del personaggio di Martin Mistère e Java che diventano anche loro parte di questa saga di scempiaggini mal disegnate. E certo è tra gli ispiratori di svariati successivi esperimenti di fumetti underground, ad esempio la celebre saga de I fumetti della gleba del Dottor Pira, che prende il via nel ‘97, fino al più recente Paolofox del ‘20/21, di Percy Bartolini, opere che fanno del segno volutamente trascurato il mezzo per trasportare paure e visioni del futuro.
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