MILANO – Lo spariglio francese su Banco Bpm sancisce l’addio ai sogni italiani di Unicredit, e “opziona” la terza banca italiana, per cui ieri è iniziato un futuro che potrebbe portarla, ma non presto, in seno a Crédit Agricole.
La banca dei contadini francesi, tra le più efficaci interpreti di una modernizzazione coniugata sui territori, s’è inserita con perfetta scelta di tempo nelle meline tra il management di Banco Bpm, recalcitrante, e quello di Unicredit, che due mesi fa stava per lanciare un assalto ai milanesi ma si vide rovinare il blitz dalla fuga di notizie. E giovedì ha piazzato la zampata da 400 milioni sul 9,18% di Banco Bpm, divenendo primo socio. Lo aveva già fatto, nel 2018, col Creval: in questo caso l’Opa totalitaria è arrivata nel 2021.
La Borsa ha comprato le banche come davanti a un buffet gratuito: intanto Banco Bpm (+10,24%), poi la partecipata Anima (+7,89%), e le rivali Popolare di Sondrio (+4,83%), Bper (+3,96%) e Unicredit (+3%). Dietro le quinte, tra i protagonisti del caso e gli operatori navigati, pochi credono che stia partendo un’asta competitiva per contendersi il gruppo bancario con la rete di filiali più ambita d’Italia; e che da tre anni rafforza la redditività e il patrimonio, allineando il libro crediti alla media del settore. «Il mercato non dovrebbe credere a una fusione completa – ha scritto Kepler Cheuvreux -. E’ più un caso di protezione e sviluppo di partnership mantenendo l’autonomia di Banco Bpm, che non la costruzione di un gigante bancario italiano». Con una fusione nascerebbe un vero “terzo polo” in Italia, con 300 miliardi di attivi, forti fabbriche finanziarie e un posizionamento leader nelle regioni più ricche come Lombardia ed Emilia Romagna. Ma ci sono molti ostacoli su questo cammino. Dapprima la politica, che ha rafforzato le norme di veto sulle attività strategiche. Il risparmio lo è, e ieri Fratelli d’Italia già invocava il golden power. La legge in vigore però prevede che solo dopo il superamento del 10% sia applicabile: e Crédit Agricole «non ha presentato istanza per l’autorizzazione a superare la soglia del 10% in Banco Bpm». C’è da chiedersi, tuttavia, come lo scalatore si sia potuto presentare al 9,2% d’un botto, superando due soglie di comunicazione rilevanti – 3% e 5% – senza avvisare la Consob. Una ricostruzione sul mercato, che non trova commenti ufficiali, ipotizza una costruzione bicefala del pacchetto. Una metà circa del 9,2% sarebbe stato rastrellato da Casa, la holding che coordina le strategie delle casse regionali che compongono il gruppo: e alcune tecnicalità, forse legate al possesso straniero, non avrebbero fatto scattare la prima comunicazione sul 3%, malgrado gli acquisti sarebbero partiti da fine febbraio. Alllora infatti i francesi constatarono che l’assalto di Unicredit si era fermato; pochi giorni dopo l’avvio della guerra in Ucraina apriva un fronte delicato per le banche europee più esposte in Russia (tra cui Unicredit), con un crollo del settore in Borsa che rendeva più conveniente comprare Banco Bpm mentre tutti vendevano, senza farla salire troppo. Comunque più di quasi tutte le banche in Europa: tanto che da inizio anno il bilancio di Banco Bpm è +12%, mentre l’indice Euro Stoxx 600 banche perde il 12%. L’altra metà del pacchetto sarebbe stata comprata tramite derivati negli ultimi quattro giorni, per questo non è stata ancora dichiarata a Consob.
Quel che è certo è che in Italia pochissimi sapevano del blitz. Non il vertice di Banco Bpm, anche se ha salutato nella nota di giovedì «la qualità e l’importanza dell’investitore». C’è da immaginare che nel prossimo anno il management guidato da Giuseppe Castagna proverà a massimizzare le partnership industriali coi francesi – quella invalsa nel credito al consumo di Agos e magari altre nella bancassurance o nel risparmio via Anima – e di salvaguardare l’autonomia della banca (e magari cercare un rinnovo dell’incarico, tra un anno). Non i tre investitori istituzionali, azionisti con un 5% ognuno e che speravano in una prossima Opa a premio. Suona paradossale, ma i meno stupiti per l’operazione sembrano i banchieri di Unicredit, riuniti (virtualmente) ieri per l’assemblea che ha approvato il bilancio 2021. Già da inizio marzo, dopo l’apertura della “forbice” borsistica tra Unicredit (-30% nel 2022) e Banco Bpm, aveva rinunciato al sogno ricorrente di tutti i capi di Unicredit da vent’anni, perché rendeva molto caro uno scambio azionario da 5 miliardi. Da ieri, poi, l’intrusione francese fa vedere all’ad Andrea Orcel lo scacchiere domestico delle fusioni sempre più chiuso. Il futuro strategico di Unicredit sarà intanto gestire i 14 miliardi di rischi in Russia, e poi valutare se all’estero, partendo dall’Est Europa dove la banca è leader, ci sono spazi e opportunità per acquisizioni.
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