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Omicidio di Budrio, 5 anni fa il caso del killer Igor il russo: la storia

E' la sera dell'8 aprile 2017, la guardia ecologica Valerio Verri e l'agente della provinciale Marco Ravaglia sono di pattuglia antibracconaggio assieme. E' l'ora del tramonto e pensano a un ultimo giro di controllo prima di rientrare a casa. Sono in via Spina, nel Mezzano, una strada di campagna tra Consandolo e Molinella, paesoni a cavallo tra le province di Bologna e Ferrara. Sul Fiorino che incrociano c'è una faccia nuova per quei posti ricchi di canali, forse un pescatore di frodo. Invertono la direzione di marcia e gli vanno dietro.

Dura poco, perché il mezzo si ferma con calma in uno slargo. Verri resta in auto, mentre Ravaglia va verso l'uomo che sta scendendo dal furgoncino. Poi i colpi di pistola rapidi, immediati, prima verso di lui, poi sul suo compagno che resta inchiodato al sedile. L'agente si finge morto. L'assassino lo scuote con un piede per verificare, quindi lo trascina per una gamba in maniera da liberare la carreggiata. Riparte con lo stesso Fiorino e sparisce nel nulla.

Valerio Verri (a sinistra) e Marco Ravaglia

Torna nell'ombra Norbert Feher. O meglio, torna nell'ombra quello che inizialmente era conosciuto come Igor Vaclavic, o Igor il russo, come lo chiamano molti. Ed è quella sera che parte la caccia allo spettro che terrà in apprensione per interi mesi un pezzo di territorio della "Bassa". Quella notte scatta la caccia per la quale saranno impiegati centinaia di uomini dei carabinieri, reparti speciali e tecnologie d'avanguardia. Tutto inutile, fino al 15 dicembre successivo. Fino al suo arresto a migliaia di chilometri di distanza, in Spagna.

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La belva, aveva già ucciso. Aveva ammazzato dopo anni di rapine e assalti ai casolari del ferrarese con una banda di slavi da cui poi si era staccato. Aveva ucciso il primo aprile, una settimana prima di assassinare Verri. La vittima prima vittima si chiamava Davide Fabbri e gestiva un bar con la moglie, a Riccardina di Budrio, nel bolognese.

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di GIUSEPPE BALDESSARRO


L'uomo era entrato nel locale alle 9 di sera impugnando un fucile per portare via la cassa. Fabbri aveva reagito, ne era nata una colluttazione che li aveva portati nel retrobottega. Feher aveva estratto un pistola e gli aveva sparato due colpi al petto. Poi quello che i testimoni hanno descritto come "un uomo con gli occhi di ghiaccio" era sparito nella notte. Per poi riapparire nel Mezzano, e portarsi via la vita di Verri.

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All'alba del 9 aprile la Compagni dei carabinieri di Molinella sembra un formicaio, arrivano decine di mezzi carichi di militari. Nel campo di fronte alla caserma gli elicotteri fanno la spola scaricando graduati. L'itera struttura diventa il quartier generale della caccia a "Igor". In quelle stanze si studia il personaggio, si analizza il territorio, si pianifica.

Nasce la "zona rossa", una vasta porzione di campagna e piccole frazioni dove l'assassino potrebbe nascondersi. "Igor" è scaltro, si muove con attenzione, è capace di stare nascosto in un buco qualsiasi per interi giorni.

Quelli che lo braccano partono a piccoli gruppi, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Si appostano sugli alberi, guardano nel buoi con i visori a infrarossi, portano con se cani molecolari. E cercano. Canneti, boschi, canali, campi e casolari abbandonati, setacciano ovunque. A volte trovano un giaciglio usato di recente, altre un capanno con i resti di cibi, ma di Feher nessuna traccia.

Col tempo si fa largo l'idea che il serbo si sia allontanato, gli investigatori lasciano il terreno per fare indagini diverse, su altri territori. I carabinieri hanno scoperto che potrebbe trovarsi in Spagna, aveva contatti da quelle parti, vecchi complici.

La guardia civil spagnola lo arresta il 15 dicembre, lo trovano svenuto sul ciglio di una strada esausto e sotto l'effetto di alcolici. Lo cercavano da ore perché era tornato a uccidere nella campagne di Teruel, in Aragona.

Si nascondeva in una tenuta agricola e quando è arrivata la guardia civil, chiamata dal proprietario, Igor ha di nuovo impugnato le armi. Sotto i suoi colpi sono caduti due militari, Victor Romero Pérez e Victor Jesus Caballero Espinosa, e il proprietario del ranch, José Luis Iranzo. Le impronte digitali dicono che è proprio lui, Norbert Feher, il killer che cercavano gli italiani.

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La belva è in trappola. Agli investigatori dice tutto e nulla, li prende in giro. Non spiega come è scappato, chi sono i suoi complici, chi lo ha aiutato a fuggire. Afferma di aver sparato perché si sentiva in pericolo, perché glielo aveva detto Dio, che ne avrebbe potuto uccidere altri e che non era ancora finita. Sbagliava.

Nei mesi successivi è stato processato sia in Spagna che in Italia. Nessun rispetto per i giudici, niente pentimenti per le vittime, il ghigno ironico sempre stampato in faccia. Poi qualcuno gli ha detto che invece è finita davvero. E' stata la giustizia, quella iberica e quella italiana, che sono arrivati a condannarlo in via definitiva all'ergastolo. Sconterà prima la sua pena spagnola, poi quella italiana. E le sconterà entrambe. Sepolto dagli ergastoli, senza possibilità di fuga.

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