Fare il lavoro che si desidera stando in sella un cavallo. Quanti degli appassionati di equitazione lo hanno sognato? Beh, Franz Pagot ci è riuscito. Direttore della fotografia e operatore specializzato nell’uso della steadycam (la struttura che rende stabili le riprese anche se l’operatore si muove), Pagot da anni fa cinema “da cavallo”. Alcune delle sequenze girate mentre cavalcava sono entrare nella storia Hollywood: è il caso de Il mistero di Sleepy Hollow, diretto nel 1999 da Tim Burton, o di Robin Hood, il principe dei ladri, protagonista Kevin Costner. La sua esperienza equestre sul set approderà presto nelle librerie inglesi, Pagot nato a Conegliano, vive da anni a Londra: in autunno uscirà il suo volume da 400 pagine Action Horse. Qualche mese dopo arriverà anche l’edizione italiana. Ma per avere una anticipazione non si dovrà attendere tanto: Franz Pagot sarà infatti tra i protagonisti di Cavalli in Villa (https://www.cavalliinvilla.it), un evento itinerante organizzato dalla sezione Veneta della Federazione italiana sport equestri. Cinque tappe in altrettante ville storiche della regione, tra concorsi ippici, spettacoli. Il debutto venerdì 8 aprile a Villa Bassi ad Abano Terme. Dove domani (9 aprile) pomeriggio Pagot porterà in scena una battaglia: un cavallo e cavaliere in armatura che attaccano un cavaliere a terra a colpi di spada. Il direttore della fotografia spiegherà come vengono costruite, provate e girate queste scene nei film, come si preparano i cavalli, come sono posizionate le luci e le angolature delle riprese.
Pagot, come è nata la sua specializzazione di operatore a cavallo?
“E’ stato John Ward, responsabile delle steadicam per Robin Hood, a propormi di filmare dalla sella alcune delle scene del film: la fuga nel bosco e poi un dialogo a cavalo tra Costner e Morgan Freeman. All’epoca ero un operatore di steadicam e in tale ruolo anni prima avevo partecipato alle riprese di Full Metal Jacket. Ward conosceva le mie qualità professionali, ma sapeva anche della mia passione per i cavalli. E così ebbe l’idea di unire le due cose”.
Quando ha iniziato a montare?
Avrò avuto sei anni e ho cominciato con una equitazione povera. Frequentavo un mio coetaneo figlio di agricoltori: lo vidi montare a pelo sul cavallo della fattoria e volli farlo anche io. Da allora è iniziata una vera passione e non ho più smesso. Ma sempre inventandomi un modo per essere con i cavalli. Quando mi sono trasferito a Londra per mantenermi ho lavorato nelle scuderie di Richmond Park come groom”.
Ora quanti cavalli ha?
“Otto, ma sono cavalli che uso nel mio lavoro sui set”.
Che caratteristiche devono avere?
“La principale è l’equilibrio mentale, la capacità di non spaventarsi. Un set cinematografico è un luogo pieno di persone che si muovono e che spesso non hanno mai interagito con un cavallo, di attrezzi, di luci violentissime. Un cavallo “normale” si spaventerebbe continuamente. Quelli addestrati a farlo restano impassibili. E poi quando sono in sella con sulla spalla una cinepresa da 16 chili, io devo pensare a fare le inquadrature non a guidare l’animale. Ecco perché ci vogliono cavalli che sanno cosa fare e io devo montare nel modo più naturale possibile”.
Lavora solo con i suoi?
“Dipende dalle situazioni. Se sul luogo delle riprese ci sono cavalli adatti evito di portare i miei. Ma per trasformare un bravo cavallo in un animale capace di portare un operatore con la steadycam ci possono volere settimane di lavoro mio e degli addestratori che lavorano con me. Non sempre le produzioni sono d’accordo. Tuttavia di recente lo abbiamo fatto sia per delle riprese in Irlanda che per un western girato in Messico, dove avevamo a disposizione degli appaloosa molto divertenti da montare”.
Ma perché girare da cavallo, con tutta la tecnologia oggi a disposizione?
“Perché ci sono emozioni che si possono rendere solo riproducendo il punto di vista del cavaliere, per esempio essere nel mezzo di una carica di cavalleria o essere inseguiti a cavallo nella foresta. Ma c’è anche un aspetto tecnico. Usare un mezzo a motore per filmare cavallo e cavaliere che corrono al galoppo può essere molto pericoloso: il cavallo in scena si può spaventare ad avere accanto un pick-up con sopra la cinepresa. Se invece la ripresa la fa un cameraman a cavallo, l’animale montato dall’attore sarà molto più rilassato, perché corre accanto a un suo simile”.
Lavora anche in Italia?
“Sì. Sono da poco finite le riprese di un film dedicato al compositore napoletano Domenico Cimarosa, vissuto nel Settecento. In quell’occasione per girare dalla sella ho montato il mio frisone. E presto sarà impegnato in delle riprese sul litorale romano per un film in costume, ma non posso dire di più”.
Cosa ha imparato lavorando sul set con i più grandi horse coordinator del cinema?
“Che bisogna dar tempo al cavallo e non mettergli fretta. E che poi va scelto il cavallo giusto per ogni singola ripresa. Infine il benessere animale. Non è più il tempo dei western con cadute rovinose, quelle cose si fanno in post produzione con la computer grafica. A Malta qualche anno fa il regista di un film ambientato in epoca romana voleva far galoppare la cavalleria sul selciato in discesa: ci siamo rifiutati di girare”.
I cavalli sono ormai solo un lavoro o restano anche un piacere.
“Sono un piacere assoluto e vado a cavallo tutte le volte che posso”.
Anche quando è a Londra?
“Sì, a Dover c’è un circolo che frequento da anni”.
Se dovesse consigliare tre film con cavalli come protagonisti?
“Black Beauty del 1994, ormai un classico. War Horse di Spielberg. E per questioni affettive anche Robin Hood, vista la scena nella foresta che ho girato e che viene spesso citata come una delle più belle”.
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