La prima emergenza criminale in Italia. La mafia che, anno dopo anno, si conferma in grado di approfittare di emergenze, crisi, passaggi epocali e trasformarli in business. Eccola la ‘Ndrangheta per come fotografata dalla Dia nella sua ultima relazione semestrale.
Una mafia borghese e fluida ma che rimane fortemente radicata alle sue strutture gerarchiche tradizionali, saldamente ancorata alla casa madre in Calabria, ma in grado di espandersi con successo in Italia e all’estero.
Multiforme, ma con un’identità criminale forte, definita, la ‘Ndrangheta – registra la Dia – si è dimostrata in grado di tenere insieme vecchio e nuovo, di isolare i suoi vertici dalla truppa, disinnescando la “capacità di offesa” dei collaboratori di giustizia che lentamente iniziano ad arrivare.
di
Isaia Sales (testo)
,
Carlo Bonini (coordinamento editoriale) e Laura Pertici (coordinamento multimediale). Produzione Gedi Visual
I clan calabresi sanno nascondersi, celare la propria vera natura, presentarsi con faccia criminale più adeguata a seconda della situazione. Per questo – si legge nella redazione – l’organizzazione nel tempo si è mostrata capace di stringere accordi diretti con i cartelli e affermarsi come holding criminale di riferimento nel mondo del narcotraffico, ma anche con uomini delle istituzioni, imprenditori, liberi professionisti. E infettare la struttura dello Stato, divorare appalti e fondi pubblici, contaminare le istituzioni, addomesticare l’economia. "La ndrangheta spara meno – afferma la Dia – però corrompe di più, ha sempre rapporti con il mondo dell'imprenditoria e della politica". Di usare la violenza, non ha bisogno.
“La moderna 'competitività' criminale della 'Ndrangheta è da ritrovarsi nell'elevato livello di infiltrazione all’interno del mondo politico-istituzionale, ricavandone indebiti vantaggi nella concessione di appalti e commesse pubbliche” avvertono gli investigatori, che mettono in fila le innumerevoli inchieste che nel corso degli ultimi mesi in Calabria hanno portato alla luce contatti fra i più diversi clan e politici e amministratori di ogni livello, dal piccolo Comune alla Regione.
“La diffusa corruttela – sottolineano gli analisti della Dia – interverrebbe sulle dinamiche relazionali con gli enti locali sino a poterne condizionare le scelte ed inquinare le competizioni elettorali. In tal modo diviene evidente la possibilità che la corretta direzione della cosa pubblica venga alterata”. Ed è “sintomatico” per gli investigatori “l’elevato numero di consigli comunali sciolti nel tempo”, persino in aree lontane dalla Calabria, come nel caso di Saint-Pierre. O ancora, le infiltrazioni nella politica accertate in Toscana, o quelle registrate persino i a Lona Lanes in provincia di Trento, dove il clan Serraino aveva messo radici e si era infiltrata nel redditizio business dell’estrazione del porfido, anche grazie a solidi rapporti con imprenditori e amministratori pubblici.
L'inchiesta
di
Giuliano Foschini
,
Alessandra Ziniti
La Pubblica amministrazione alla ‘Ndrangheta serve. È quello il canale attraverso cui i clan si accaparrano appalti e commesse. Perfino in sanità, che per il procuratore capo Giovanni Bombardieri èil settore su cui si sono concentrati gli interessi delle organizzazioni criminali ‘ndranghetiste”. E per motivi diversi: è il maggiore capitolo di spesa regionale, garantisce e ha garantito “la possibilità di alimentare un sistema clientelare di assunzioni” funzionale a consolidare peso politico e trasformarsi in “strumento di scambio del favore elettorale/ndranghetistico”. Non a caso, oggi due su cinque aziende provinciali sanitarie calabresi – Reggio Calabria e Catanzaro – sono commissariate per mafia.
Ma per i clan – avverte la Dia – la pandemia è stata occasione di business anche nel settore privato. Costruzioni, autotrasporti, raccolta di materiali inerti, pulizie, ristorazione, gestione di impianti sportivi e strutture alberghiere, commercio al dettaglio, servizi funebri, sono fra i settori a maggiore rischio infiltrazione, in un contesto economico in cui la ‘Ndrangheta, con la sua enorme liquidità, rischia di diventare interlocutore privilegiato per aziende in crisi. Come per le persone, che negli uomini e nelle donne dei clan – cui oggi anche la Dia riconosce ruoli di comando e vertice – trovano un punto di riferimento.
È il welfare mafioso che distribuisce soldi, aiuti, posti di lavoro e in cambio pretende asservimento. Ma nel frattempo non esita ad accaparrarsi persino buoni e aiuti destinati a sostenere i più bisognosi negli anni duri della pandemia. Appetiti che adesso di potrebbero rivolgere verso il Pnrr. “Considerata la spiccata capacità imprenditoriale evidenziata durante il perdurare dell’emergenza sanitaria con la tendenza a infiltrare in modo capillare il tessuto economico e sociale – avverte la Dia – è più che ragionevole ipotizzare che le mafie potrebbero rivolgere le proprie attenzioni verso i fondi comunitari destinati al Piano nazionale ripresa e resilienza”.
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