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Un Recovery bis per sostenere il piano Ue su difesa ed energia

Il primo giorno della verità sarà il 24 aprile. Il primo, non l'ultimo. Da quel giorno però si capirà se la strada che porta a un nuovo Recovery fund è davvero percorribile o se sarà solo un sogno che si è infranto su uno scoglio emerso senza preavviso. Il 24 aprile, infatti, si terrà il ballottaggio per le elezioni in Francia. E non si decideranno solo le sorti della presidenza francese, in parte anche quelle dell'Unione europea. Perché la riconferma di Emmanuel Macron all'Eliseo è davvero una "conditio sine qua non" per dare una vita gemellare al Pnrr. L'idea di mettere in campo una seconda comunitarizzazione del debito, infatti, è stata sostenuta nell'ultimo mese proprio dall'esecutivo di Parigi, che ne ha fatto una battaglia. In particolare dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. L'attacco ingiustificato – e per molte delle istituzioni europee anche imprevisto – di Putin ha plasticamente evidenziato quanto l'Europa sia debole su due fronti che fino a settembre scorso erano considerati "sicuri" o almeno non preoccupanti: la difesa e l'energia.

L'architettura Ue

L'architettura monetaria dell'Ue ha scientificamente trascurato questi due aspetti nel ventennio della moneta unica. Si è sentita al sicuro dietro l'argine dell'euro e dietro quello della Nato. Ma prima la débâcle americana in Afghanistan e poi l'oltraggio russo ai confini ucraini hanno fatto cadere il velo delle nostre incertezze. L'Unione ha bisogno di "difesa" e di "energia". Ha necessità di essere autonoma su questi due impegni per essere davvero libera. Bruxelles si trova a fare i conti con una sorta di reflusso della globalizzazione che ha rispolverato parole che sembravano appartenere a un passato superato. Ad esempio: autarchia. L'Europa, e con essa l'Occidente, si è scoperta fragile, non essendo in grado di proteggersi militarmente da sola, di rifornire le case e le aziende di energia elettrica senza aiuti esterni, e anche di assicurare una produzione agricola autosufficiente.

Il progetto di Macron, sostenuto con decisione dall'Italia e anche dalla Spagna, punta nell'immediato a costruire almeno i primi due pilastri di indipendenza. Difesa ed energia. Ma, appunto, servono soldi. Investimenti. Già al Consiglio europeo di tre settimane fa a Versailles la soluzione di un nuovo Fondo, un nuovo Recovery, è entrato e uscito dalla dichiarazione finale. Ma certo non è scomparso. E la coppia Draghi-Macron lo riproporrà nella seconda metà di maggio (se il presidente francese verrà rieletto) in occasione del secondo vertice straordinario dell'Unione. Il concetto di fondo è che senza risorse ingenti è impossibile affrontare questo tipo di sfida. Il disegno, allora, è proprio quello di accettare che la crisi ucraina sia, nella risposta comunitaria, equivalente a quella del Covid. Quindi una replica del Pnrr, rivolto solo ad accrescere le capacità difensive dei 27 Stati membri dell'Ue e l'autosufficienza energetica. Questo secondo aspetto è inscindibile dagli obiettivi tracciati dalla Commissione a luglio scorso con il Green deal e con il passaggio graduale ma definitivo alle fonti rinnovabili.

Un nuovo Recovery significa mettere a disposizione "grants" (soldi a fondo perduto) e "loans" (prestiti). Ma, nelle intenzioni di Parigi e Roma, più il primo strumento che non il secondo, prendendo atto che l'Unione vive ormai una economia di guerra. Nei primi giorni di marzo, anche il Commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni, era stato sul punto piuttosto ottimista: "Se il Next generation Eu avrà successo, sarà possibile nei prossimi anni riproporre un metodo del genere, e cioè mettere insieme le forze per obiettivi comuni". Questa linea sta prendendo sempre più spazio a Bruxelles. Le incertezze provocate dalla guerra stanno assestando uno scossone anche ai più scettici. Il fronte dei cosiddetti Paesi "frugali", però, deve essere ancora persuaso. In questi governi c'è una parola che viene considerata come il diavolo: "Perennizzazione". Ossia rendere perenne il debito pubblico europeo. Per loro è uno spauracchio, una sorta di incubo. E infatti, in ogni discussione informale, i sostenitori del "Recovery Bis" precisano che non c'è alcuna volontà di rendere permanenti questi strumenti. Ma quello su cui Macron insiste è un semplice concetto: esistono "spese comuni" che vanno affrontate in comune.

La nuova Germania

La Germania del nuovo cancelliere Scholz non è ancora convinta che sia la strada corretta. Sebbene la frattura della ventennale alleanza economica con Mosca stia adesso incrinando molte delle certezze germaniche. Non a caso il governo di Berlino ha suggerito alla Francia di valutare una soluzione alternativa: utilizzare per questo eventuale nuovo fondo i soldi non impiegati del NextGenerationEu. La quota dei prestiti (loans) messi a disposizione l'anno scorso è stata in effetti "prenotata" solo in parte. Avanzano circa 200 miliardi. La Germania, insomma, propone di prendere quelle risorse. Un scappatoia che non convince Francia e Italia proprio perché si tratta di prestiti. Quindi da restituire. L'elemento giudicato positivamente però consiste nel fatto che Scholz non ha pronunciato un "no" di principio. Anzi, ha accettato di trattare ed è pronto a individuare una via praticabile.

Naturalmente il Pnrr prossimo venturo è strettamente connesso a un'altra scelta che la Commissione e i 27 governi dovranno compiere nei prossimi mesi: il futuro del Patto di stabilità. La guerra ha completamente stravolto le prospettive di crescita economica dell'Ue. Le proiezioni non indicano una totale inversione di tendenza. Ma di certo il tasso di crescita non sarà quello fissato nelle previsioni. Senza contare che l'inflazione resterà alta per diversi mesi. Nonostante i freni tirati dagli stessi "frugali", in realtà è ormai maturato l'orientamento a sospendere il Patto anche il prossimo anno. Ripristinare le vecchie regole, anche se modificate e corrette, equivarrebbe a strozzare sul nascere la ripresa. In particolare in una fase in cui la definizione di "economia di guerra" non è un semplice paradosso. Ripristinare gli ormai vetusti tetti su deficit e debito proprio ora non solo comprometterebbe il tentativo di scatto in avanti del Pil, ma mal si concilierebbe con l'eventuale introduzione del "Recovery 2". Gli investimenti su difesa e energia difficilmente sono compatibili con parametri introdotti nel 1993 e aggiornati nel 2011. È tutta un'altra epoca. E tutti devono misurarsi con un mondo che probabilmente è cambiato per sempre.

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