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L’indagine tra sacro e profano di Mario Botta

Luce. Spazio. Storia. Spiritualità. Geometria. Queste tracce si ritrovano distillate con costanza nell’opera di Mario Botta. «Senza luce non c’è spazio», sintetizza nel video che accompagna la sua mostra al Maxxi (regia di Francesca Molteni, prodotto da Muse Factory of Projects). E continua, «L’architettura vive perché c’è luce e ombra. La luce è la sola vera generatrice dello spazio». Proporzioni, quindi, armonia, misure, ma anche introspezione e poi il linguaggio del tempo sedimentato nel nostro immaginario. Come ricorda Botta con intensità: «La contiguità con la cultura italiana, che viene da lontano, dal Medioevo al Rinascimento, è una grazia che m’illumina ogni giorno». Parole che riecheggiano negli spazi da lui concepiti in una mostra con l’obiettivo di trasferire l’essenza stessa della sua architettura. Il passato è un tema costante, a partire da uno dei suoi edifici più noti, il Mart di Rovereto, le cui proporzioni nella corte vetrata vastissima evocano quelle del Pantheon. Senza neppure abbracciarlo tutto con lo sguardo, la mente ne ricostruisce la forma, perché perfetta. Dall’8 aprile al 4 settembre, si raccontano diffusamente 11 progetti. La mostra ha forma di autoritratto ed è parte di una serie, ormai di lungo corso, dal titolo “Nature”, che ha già visto protagonista Michele De Lucchi e in futuro Maria Giuseppina Cannizzo Grasso.

Nella foto qui sopra, Mario Botta, San Carlino, Lugano, Svizzera,1999 – 2003, installazione temporanea (foto Enrico Cano)

A parete scorrono fotografie, schizzi e disegni. Botta concepisce quei fogli come strumenti di conoscenza, indagini dello spazio, più che semplici descrizioni di progetto. Al centro però, l’architetto svizzero, fondatore dell’Accademia di architettura di Mendrisio, pone un’esperienza spaziale avvolgente, una vera e propria architettura. L’installazione, che dovrebbe condurci a un grado di comprensione più immediato e profondo dei principi che governano la sua opera, è scandita in due momenti.

Baden, bagno di salute per corpo e territorio

di

Fiorella Minervino


Il primo è una maquette extra large, in scala 1:2. Il secondo è un padiglione. Siamo nella sala Gian Ferrari del museo, al primo piano, dove il soffitto supera i sei metri. Più che una mostra dossier, quindi, è un’opera d’arte totale in dialogo con gli spazi vigorosi firmati Zaha Hadid. “Sacro e profano” è il titolo, anche questo scelto dall’autore.

Mario Botta, ritratto Beat Pfandler

L’equilibrio tra le due dimensioni è spunto per raccontare una carriera che ha radici profonde nell’architettura moderna, accanto a Carlo Scarpa, con cui si laurea; oppure a Le Corbusier e a Louis Kahn, con cui lavora. Incontriamo il modello in scala reale della sezione trasversale della chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane di Roma, installazione temporanea sul lungo lago di Lugano per il quarto centenario della nascita di Francesco Borromini.

Francis Kéré: “La natura è il grande architetto”

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Fiorella Minervino


C’è la Sinagoga di Tel Aviv inondata di luce zenitale; ma anche le terme, nella città di Baden, in Svizzera; e il museo Bechtler a Charlotte, nel Carolina del Nord. E poi la Chiesa di San Giovanni Battista a Mogno in Valle Magna, una compenetrazione di forme essenziali (ellisse, cerchio e rettangolo) oppure la Cappella di Santa Maria degli Angeli sul Monte Tamaro, concepita per affondare nel paesaggio naturale. La dimensione sacrale, ben oltre la funzione, si concentra tutta nel gesto architettonico. Filo rosso della sua opera.

Chiesa di Mogno, Mario Botta, (foto Pino Musi)

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