Più che un’opportunità, una necessità per restare competitivi e non soccombere. Perché, a fronte della concorrenza crescente da parte delle fintech e di tassi destinati a restare ben al di sotto delle medie storiche nonostante l’apertura della stagione rialzista da parte della Fed, le banche tradizionali sono chiamate a rivedere profondamente il proprio modello di business. La transizione digitale viene citata tra le priorità da tutti gli operatori del settore, ma andare fino in fondo su questa strada è tutt’altro che facile perché significa non solo rivoltare come un calzino l’organizzazione aziendale (cosa già di per sé complicata, dato che molti gruppi bancari si sono andati formando per successive integrazioni, importando quindi differenti culture e modelli organizzativi), ma anche tagliare i rami secchi, vale a dire le divisioni non più capaci di generare profitti. Con tutto ciò che ne deriva in termini occupazionali.
Strada obbligata
“Tutte le banche ormai si dicono digitali e hanno raggiunto livelli impressionanti di customer experience”, scrive un editoriale del Financial Times di qualche settimana fa, “ma la maggior parte non ha ancora capito come guadagnare dalla trasformazione digitale”. In sostanza, c’è consapevolezza su come sta cambiando la domanda e gli operatori si stanno attrezzando con gli investimenti, ma pochi ne vedono già i frutti. Anche perché, come sostiene la maggior parte degli analisti, finora abbiamo visto solo una piccola parte degli sviluppi tecnologici possibili in ambito finanziario.
“Transforming banks through people, technology and innovation” è il titolo di uno studio realizzato da Ey che sintetizza i tre ambiti sui quali dovranno concentrarsi gli interventi per realizzare una vera transizione digitale. Quello meno scontato è il primo, dato che fino a questo momento si sono visti soprattutto i tagli alla forza lavoro impegnata nelle mansioni ormai appannaggio di software e hardware. Per costruire un futuro vincente, spiegano gli analisti, occorre invece “mettere le persone al centro dell’organizzazione, sfruttando le nuove tecnologie per supportarle e consentendo in questo modo di sviluppare innovazione su vasta scala”. Questo significa riqualificare il personale, e farlo in tempi rapidi, non solo perché acquisiscano le competenze digitali necessarie a realizzare il cambiamento, ma anche affinché assumano un approccio più proattivo, facendosi portatori di nuove idee nel contesto aziendale.
La spinta del cloud
Una delle principali potenzialità di innovazione è costituita dal cloud computing, che in estrema sintesi è una tecnologia per distribuire servizi come calcolo, server, software, database e analisi tramite Internet. L’utente paga solo per i servizi cloud che utilizza, risparmiando sui costi operativi e affidandone la creazione e manutenzione dell’infrastruttura a una società specializzata.
Le banche sono sedute su un prezioso patrimonio come i dati, spesso tuttavia disponibili in modo disaggregato e quindi difficili da “leggere” per utilizzarli come base delle strategie di business. Il cloud consente di sistematizzarli e di accedere di volta in volta a ciò di cui le banche hanno bisogno, eliminando un problema cronico del settore come l’utilizzo di infrastrutture tecnologiche molto datate, con sistemi diversi che non parlano tra loro. Con la tecnologia della nuvola, spiega Deloitte, i diversi silos di dati riescono a dialogare su un terreno comune, velocizzando così i processi decisionali e consentendo agli operatori del settore di offrire servizi sempre più personalizzati.
Secondo un sondaggio condotto a livello globale dall'Economist Intelligence Unit tra manager It del settore bancario, il 72% ritiene che l'integrazione del cloud nei prodotti e servizi della propria organizzazione li aiuterà a raggiungere gli obiettivi prefissati. L’America Latina è l’area del pianeta più ottimista su questo fronte, ma anche nella più tradizionale Europa si registra una crescente presa di consapevolezza in questo ambito. Secondo il sondaggio, la riduzione dei costi è il principale motore del passaggio al cloud (42%), seguita dall’adozione dell'intelligenza artificiale (34%) e dell'agilità aziendale (25%). Solo il 15% ha scelto la flessibilità e la scalabilità come driver principale.
Circa quattro dirigenti It bancari su cinque affermano di avere una strategia chiara per l'adozione della tecnologia cloud, anche se le preoccupazioni relative a sicurezza, privacy, conformità e governance continuano a ostacolare un abbraccio sincero del cloud.
Il nodo della sicurezza
Su questi ultimi temi si registrano passi in avanti, anche in Italia. Secondo uno studio di Abi Lab, il centro di ricerca per l’innovazione e la banca promosso dall’Associazione bancaria italiana, al primo posto delle priorità d’investimento del settore c’è il potenziamento dei servizi che prevedono la fruizione di risorse informatiche attraverso la rete Internet ricorrendo al cloud. Seguono i percorsi di modernizzazione e di adeguamento delle infrastrutture e la forte attenzione alla gestione adeguata dei dati. Ai piedi del podio c’è il rafforzamento delle componenti di sicurezza, l’acquisizione digitale dei clienti, l’automazione dei processi e il potenziamento dei servizi di mobile banking.
Il banking è ai vertici degli investimenti digitali in Italia; la grande sfida è riuscire a farli fruttare superando le inevitabili resistenze al cambiamento per proiettare il settore lungo un percorso di crescita sostenibile.
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