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L’Azerbaigian sceglie il Ramadan della Turchia per “staccarsi” da Mosca

AGI – Non c'è solo l'ombra dello scisma tra patriarcati ortodossi (Mosca contro Kiev, Costantinopoli vicino a Kiev, fedeli ucraini di Mosca che si staccano da Kirill II e le sue omelie) a conferire una connotazione religiosa al conflitto in Ucraina, e nemmeno il tema di un dialogo ecumenico tra Vaticano e Mosca.

Anche il mondo islamico, apparentemente non toccato dal conflitto, subisce i contraccolpi dei missili che cadono su Odessa, unendo dimensione religiosa e dimensione geostrategica.

Nuovi assetti si vanno delineando, ora che la Turchia ha assunto il ruolo della grande mediatrice e la Russia è molto vicino, ma anche molto lontana, dal Caucaso e dalle sue tensioni. Il segnale è piccolo, ma lo coglie chi è attento. Asia News scrive che l'Azerbaigian ha dato inizio al mese sacro del digiuno, il Ramadan, cambiandone leggermente la data. Pochi giorni, ma non vuol dire.

Il fatto è che Baku, capitale sunnita di non poca rilevanza dal punto di vista energetico e strategico, ha deciso di non seguire più il calendario caro agli iraniani sciiti, ma quello seguito dai turchi. Gli azeri, si noti, sono un popolo di ceppo turanico, e la loro repubblica è ex sovietica.

Il Grande Gioco li vede nell'orbita di Mosca dalla metà dell'Ottocento, una costante mantenuta anche dopo la proclamazione dell'indipendenza dopo il disfacimento dell'Urss. E, soprattutto, dopo la sanguinosa guerra per il Nagorno Karabakh (in realtà: due conflitti distinti nell'arco degli ultimi decenni) contro l'Armenia, al termine della quale la presenza del Cremlino in territorio azero non si è limitata ad un impalpabile soft power.

In particolare la fine del secondo conflitto del Nagorno Karabakh, lanciato in pieno covid nel settembre del 2020, ha visto il mantenimento di un contingente militare russo su territorio azero, con la motivazione ufficiale di garantire la stabilità sconsigliando agli armeni di lasciarsi andare a colpi di testa.

La promessa è quella di "garantire" lo status quo per almeno altri tre anni, fino al 2025: un periodo non breve, soprattutto ora che l'attacco russo all'Ucraina lascia immaginare quello che prima era solo sospettabile, e cioè che il Grande Gioco è, per l'appunto, ripreso e Mosca oggi guarda al Mar Nero, forse domani al Mar Caspio.

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