Per il mondo degli affari la riduzione delle emissioni nocive nell'atmosfera è la preoccupazione più grande. Ora però un articolo pubblicato su Oxford Open Energy dal team di ricerca di Paul Ekins potrebbe calmare gli animi. Perché sostiene che i Paesi possono raggiungere lo zero di emissioni nette di carbonio, entro il 2050, mantenendo la loro crescita economica. Vediamo meglio.
Lo zero di emissioni nette entro il 2050 è l'obiettivo della politica climatica perseguita (seppure storcendo il naso) da molti Stati, in linea con l'Accordo di Parigi del 2015. Il patto stabilisce di contenere l'aumento della temperatura media globale al di sotto della soglia di 2 gradi oltre i livelli pre-industriali, e di limitare tale incremento a 1,5 gradi per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici. Utilizzando modelli macroeconomici, lo studio di Oxford ha cercato di capire come gli scopi di Parigi potrebbero essere ottenuti senza intaccare lo sviluppo dei Paesi coinvolti fino al 2100. Un precedente positivo c'è. Tra il 1990 e il 2016 l'economia dell'Ue è cresciuta di oltre il 50%, mentre le emissioni di CO2 sono diminuite del 25%. In particolare, nel Regno Unito e in Finlandia dal 2007 al 2016 le emissioni basate sui consumi sono diminuite. Ma le loro economie sono cresciute.
Procedendo nella ricerca, Paul Ekins e i suoi hanno ipotizzato un calo graduale della domanda globale di energia primaria, di modo che nel 2100 questa fosse superiore solo del 30% rispetto al 2020. Hanno quindi simulato, sempre al 2100, una quasi completa decarbonizzazione della produzione di elettricità che garantisse sette volte più energia di quella utilizzata al mondo nel 2010. Sostituendo, in questo caso, i combustibili fossili nel settore dei trasporti, del riscaldamento e in alcuni processi industriali. Infine, gli scienziati hanno provato a immaginare una progressiva riduzione dell'uso del carbone, a livello globale, alla stessa velocità con cui gli Stati Uniti ne hanno ridotto l'uso negli ultimi anni. Dai risultati di tutti questi esperimenti è emerso che, nel periodo considerato, crescita economica mondiale e obiettivi di Parigi (specie quello dell'1,5 gradi di temperatura) possono coesistere. Per la precisione, adottando le fonti rinnovabili a difesa del clima lo sviluppo rallenta sì, ma solo momentaneamente e in misura trascurabile.
Nello scenario centrale proposto dai ricercatori di Oxford, la crescita economica del mondo dopo il 2020 scende dal 3,5% a poco più dell'1% nel 2100. Questo calo è dovuto soprattutto allo stabilizzarsi della popolazione. La crescita degli investimenti rispetto alla decarbonizzazione dopo il 2040 rallenta, mentre il tasso di crescita medio annuo, coerente col contenimento delle temperature entro l'1,5 gradi, nel 2100 risulta pari all'1,76%. Il che nel 2100 porterebbe l'economia globale a un volume cinque volte più grande del 2015. A questi 80 anni di transizione cruciale corrisponde, dicevamo, una progressiva, graduale, riduzione delle fonti fossili come il carbone. A patto però che venga intensificato l'uso delle tecniche di cattura e di stoccaggio del carbonio e si frenino le emissioni nocive. Queste, dunque, le condizioni per rispettare gli accordi di Parigi sul clima entro il 2100, da realizzarsi con l'aiuto di politiche pubbliche rigorose che però possono avvantaggiare una crescita economica robusta.
Per raggiungere questo obiettivo, gli Stati dovrebbero stimolare aumenti significativi dell'efficienza energetica e delle risorse. Insieme a un rapido dispiegamento di tecnologie a basse emissioni di carbonio, adottando precise scelte in campo ambientale. "La continua crescita economica globale è chiaramente compatibile con il raggiungimento dell'obiettivo di temperatura nell'accordo di Parigi" conclude Paul Ekins, che ha guidato lo studio. "Ora i governi devono fare un passo avanti per mettere in atto le politiche per stimolare gli investimenti necessari e trasformare queste proiezioni in realtà".
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