«Un oggetto non ha l'obbligo di essere strano o di parlare troppo per funzionare. È come quando si racconta una storia: bisogna scegliere bene vocaboli e tono ma non sempre servono tante parole per emozionare». Non ha dubbi Christophe Pillet: per lui il successo di un progetto passa soprattutto per la strada della semplicità. Ma anche per il partner giusto con cui realizzarlo. «Credo che la collaborazione tra designer e azienda determini gran parte della riuscita di un'idea: è un lavoro di coppia», conferma il progettista francese, classe '59, raccontando com'è nata la collezione sviluppata con Flexform che quest'anno vede un ulteriore ampliamento.
«Tutto è iniziato qualche anno fa con una piacevole chiacchierata», racconta da Parigi dove vive e lavora. «In quel momento l'azienda non aveva bisogno di un oggetto specifico o di una collezione: era più interessata a uno scambio di idee e sensazioni e questo è un modo di fare che trovo davvero sano. Abbiamo tanto in comune, soprattutto il desiderio di semplicità ed eleganza e l'idea che un mobile ben fatto sia qualcosa che il tempo e le mode non ossidano». Ma attenzione, per Pillet essenzialità non vuol dire minimalismo: «vuol dire riuscire a suscitare grandi emozioni con pochi elementi: un processo in cui la maestria di chi realizza i prodotti è fondamentale. In questo Flexform è esemplare: comprando un suo mobile si acquista un condensato di storia ed esperienza». Ne è un esempio la famiglia di sedute Echoes, disegnate dallo stesso Pillet, che all'essenziale struttura in metallo abbinano un intreccio in cordoncino di carta o paglia di fiume: una complessa lavorazione interamente realizzata a mano. O anche la famiglia di tavoli e tavolini Any Day, dove Pillet ha ridotto il disegno per concentrarsi «sulla cura dei dettagli, l’esattezza delle proporzioni e l'abilità dell’esecuzione, caratteristiche intrinseche che definiscono la qualità dell'oggetto».
Un senso dell’eleganza e una lucidità espressiva, quelli che caratterizzano questi e altri mobili di Pillet, che nella sua carriera gli sono valsi numerosi premi internazionali tra cui il Red Dot Design Award, il Wallpaper Design Award e il Prix d’Excellence.
E pensare che da giovanissimo voleva fare tutt'altro. «Sono arrivato in questo mondo casualmente», racconta. «In realtà volevo fare musica e passavo le notti a suonare con gli amici. Poi, più per accontentare i miei genitori, mi sono iscritto a una scuola d'arte. Erano i tempi di Memphis e quando li ho conosciuti ne sono rimasto affascinato. Mi sono detto: “questo gruppo fa rock senza fare musica!”. E da lì è partito tutto». Gli studi alla Domus Academy di Milano, dove tra gli altri ha conosciuto Michele De Lucchi, il rientro a Parigi, il lavoro con Philippe Starck e infine uno studio proprio con progetti che spaziano dal product design a boutique e hotel.
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«Però la passione per la musica c'è ancora oggi, anche se ho poco tempo», aggiunge. Insieme a tanti altri interessi. «Mi piace viaggiare e mi piacciono l'arte e la lettura, solo per citarne alcuni, e trovo ispirazione ovunque: sono una spugna. Ma il mio non è un semplice guardare: mi piace andare nel profondo, analizzare persone e cose, capirle davvero». Come adesso che sta studiando Carlo Scarpa, dice. «Lo sto esaminando per capire come ha fatto, dove sono le radici del miracolo. Un po' come un cuoco che vuole capire ricetta e ingredienti di un piatto particolarmente riuscito».
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