"Pace. Stabilità. Vucic". Lo slogan scelto per la campagna elettorale ha portato bene al conservatore Aleksandar Vucic, rieletto presidente della Serbia ancora una volta al primo turno e trionfatore, con il suo partito progressista serbo di centrodestra, anche alle parlamentari anticipate (122 seggi su 250) e alle amministrative che si sono svolte in contemporanea in 14 comuni, inclusa la capitale Belgrado. Il presidente si è aggiudicato il 60 per cento delle preferenze dei serbi stracciando il principale avversario Zdravko Ponos, candidato dell'opposizione unita, fermo al 17,5 per cento.
La vittoria del filorusso Vucic era piuttosto annunciata. Nazionalista, diventato europeista, con chiari attestati di lealtà e stima verso Mosca. Tanto che dal Cremlino non ha tardato a commentare il presidente della Federazione russa, Vladimir Putin. Secondo l'agenzia Tass lo zar ha inviato un telegramma al vincitore battezzando così il suo secondo mandato alla guida del Paese: "Ritengo che le sue azioni come capo dello Stato continueranno a favorire un rafforzamento del partenariato strategico fra i nostri due Paesi. E' indubbiamente nell'interesse dei nostri popoli fraterni". Congratulazioni "per la sua convincente vittoria" che scaldano il terreno per collaborazioni sempre più intense.
La guerra tuttavia ha messo la Serbia, e Vucic per primo, in una posizione scomoda nei confronti dell'Unione europea, con cui ha in corso il negoziato di adesione. Pur condannando la violazione dell'integrità territoriale dell'Ucraina da parte dell'esercito russo, Belgrado si rifiuta però di aderire alle sanzioni internazionali contro Mosca invocando gli interessi nazionali della Serbia, in primo luogo le forniture energetiche a prezzi scontati e il sostegno sulla spinosa questione del Kosovo.