Territorio: in tema di enogastronomia (ma non soltanto) è ormai una rara eccezione trovare contenuti privi di questo termine. Spesso, purtroppo, accade però che se ne parli a sproposito, soprattutto quando si tratta di cuochi, cucina e piatti. In questo modo perde forza la nobile accezione di un significato che racchiude in sé le peculiarità di un luogo e le differenze che lo contraddistinguono da un altro, caratteri di cui l’Italia è piena. Tuttavia, un uso appropriato di “territorio”, tradotto in idee e poi ancora in gusti e sapori, si realizza certamente con professionisti come quelli di cui parliamo questa settimana, dal Friuli Venezia Giulia alla Sardegna, passando dalle parti di Bologna.
Antonia Klugmann dell’Argine e di tutto il verde che gli sta intorno è innamorata. Ed è impossibile non accorgersene, fin dal momento in cui qui ci si arriva, respirando un’aria insieme quieta e frizzante. Per poi lasciarsi sedurre da una cucina che attinge a piene mani proprio da questa terra, trasformando la complessità in felice immediatezza. Quattro cappelli la valutazione: ”La quiete rinfrescante delle vigne tutto intorno ammanta di Collio la casa d’una delle cucine più ricche d’identità dell’Italia contemporanea. Antonia Klugmann ha raggiunto la piena maturità di chef nel momento stesso in cui ha portato a compimento la sua idea di territorio, interrogandosi su ingredienti dimenticati o trascurati invece di darsi lo slancio partendo dal paniere di ricette regionali. L’Argine è un fiore silenzioso piantato nel polmone verde del Friuli-Venezia Giulia, con le vetrate della sala guidata da Romano De Feo (bravo a giocare secondo la sua lettura locale anche con la carta dei vini) aperte sulla natura pacifica di questa terra di confine. Tutti gli spazi vuoti li riempie poi Antonia con la sua linea gastronomica dritta e tagliente, originale e mitteleuropea nel risultato, quanto umile e profonda nei pensieri di partenza. Dal petto d’anatra servito con cicorie selvatiche affumicate, crêpe di ceci e caffè, fino al “vitello friulano con ricotta di capra, rosa, pepe rosa e valeriana di Vencò”, ogni passaggio racconta di una cuoca colta, capace di intrecci mai scontati eppure sempre concreti e leggibili, e fa dell’Argine una tappa fondamentale per chi cerchi una visione credibile della ristorazione italiana che sarà. Menu a 70 e 110 euro, intorno agli 80 per tre piatti alla carta.”
Massimiliano Poggi, più noto come Max, è un pilastro della ristorazione bolognese. Nella sua lunga carriera ha saputo cambiar pelle, fino ad arrivare a un’idea di cucina in cui l’essenziale è andare dritti al gusto senza orpelli. Tutto questo guardando alla terra che l’ha visto nascere e crescere e alle sue tradizioni, con una personale e precisa interpretazione di un altro termine ormai consunto (non nel suo caso, però) come sostenibilità. Tre cappelli, ecco la sua scheda: “Situato in uno dei comuni della prima periferia bolognese, questo ristorante continua con convinzione sulla strada della cucina che valorizza le materie prime e i sapori di campagna, accompagnata da una ‘bolognesità’ alleggerita nei condimenti ma integra e centrata nel gusto. L’ambiente è elegante ma non formale, con tavoli distanziati e una piccola sala privata che fa da chef’s table. Due sono i menu, “divertiti” e “divertiti +”, rispettivamente di cinque e otto piatti, proposti a 65 e 80 euro. In carta, piatti che prendono spunto dalla cultura contadina, qualche portata tradizionale e pietanze a base di pesce, tutti legati dal fil rouge di stagionalità e gusto. La campagna viene servita in diverse declinazioni: focalizzata sul vegetale nel voluttuoso sedano rapa alla brace con tuorlo d’uovo affumicato e salsa di verdure, o in versione che pone in risalto gli animali da cortile, come nei saporosi ravioli di coniglio e olive. Cottura millimetrica, nei secondi, per il germano, la cui succulenza è mitigata dall’asprezza del ‘rusticano’ (tipo di prugna), mentre il sapore, ricco di carattere, è ingentilito dal sambuco. Tra i dolci il ‘fiordilatte’.”
di
Marco Colognese
Josto è il locale principale tra quelli di Pierluigi Fais, attivo nel mondo della ristorazione su più fronti e personaggio da conoscere, impegnato com’è, insieme a tutta la sua famiglia, a diffondere e promuovere la cultura gastronomica sarda, attraverso l’esplorazione e la conoscenza delle sue radici e dei suoi ingredienti.
Un cappello in guida, la sua scheda è questa: “Ristorante moderno in stile postindustriale, con due sale: una essenziale, posta all’ingresso, con quadri d’arte contemporanea e cucina a vista; l’altra, più confortevole, con tavoli rotondi apparecchiati in modo sobrio e quadri ottocenteschi alle pareti. Diverse le proposte dalla cucina, un menu e due consigli: “La gavetta”, a 38 euro con antipasto, primo e secondo; l’altro è un menu degustazione da otto portate a 65 euro. I prodotti utilizzati in cucina sono sempre locali e di prim’ordine, le preparazioni sono ben combinate. Ottimi gli spaghetti alla bottarga, il “muggine & gazpacho” (dalla ricetta andalusa con le verdure tritate) e il “pane & saba” (pane con uva passa). Cantina con selezione di vini e birre artigianali. Sui 55 euro.”
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