“Ma che devono friggere?”. È la domanda dal tono ironico che verrebbe alla vista degli scaffali dei supermercati dove, se non scarseggia già l’olio di semi di girasole, iniziano a vedersi avvisi alla clientela. ‘Data la situazione d’emergenza il limite massimo di acquisto dell’olio di girasole è di 5 litri a cliente’ è il cartello appeso in un punto vendita di una Gdo romana, ma il fenomeno non si limita alla Capitale o a una data catena di distribuzione. Era nell’aria da giorni, i primi moniti alcuni giorni fa lanciati da Unicoop che metteva un tetto agli acquisti di alcuni beni “particolarmente sensibili che arrivano dalle zone interessate dal conflitto e che sono: olio di semi di girasole, farina e zucchero”. Non diverse le testimonianze che si leggono sui social, il limite agli acquisti corrono lungo tutto lo stivale, non solo nei punti vendita fisici ma anche sugli e-commerce della grande distribuzione: numeri di pezzi a cliente variano in base alle catene per l’olio di semi di girasole.
Il razionamento è un fenomeno al quale non siamo abituati. È consuetudine a fine spesa, alla cassa del supermercato, accumulare punti e bollini per le promozioni, eppure c’è stato un tempo non molto lontano in cui i bollini servivano per comprare i beni primari, era la tessera annonaria. Personale e non cedibile, definiva la quantità di merci e alimenti che si potevano acquistare in un certo lasso di tempo, veniva reintrodotta durante la seconda guerra mondiale. Porta la memoria alla storia di quegli anni, ma assume i contorni del conflitto che si sta combattendo in Ucraina, come immediato riflesso sui carrelli e sui rincari nella ristorazione. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi ha dichiarato che non “siamo in economia di guerra, non ancora”, condizione nella quale “gran parte della capacità produttiva di un Paese viene destinata allo sforzo bellico” ha spiegato Stefano Manzocchi, docente di economia internazionale e prorettore per la ricerca alla Luiss Guido Carli. Senza allarmismo ha proseguito dicendo che “siamo lontani da questo scenario” non escludendo che “potrebbero esserci razionamenti di energia e di alcuni beni per evitare accaparramenti ingiustificati”.
L’Ucraina rappresenta per noi il primo fornitore di oli grezzi di girasole, con una quota che dal 2015 a oggi è passata dal 54 al 63% secondo i dati elaborati da Assitol. Carichi fermi a Odessa, il più grande porto marittimo dell’Ucraina, e Mariupol: un mercato in enorme crisi con la chiusura dei porti nevralgici. Una condizione critica riportata anche da BMTI, Borsa Merci Telematica Italiana in una nota del 9 marzo: “Il blocco delle forniture provenienti dall’Ucraina sta paralizzando gli scambi nel mercato dell’olio di girasole in Italia. Tale scenario sta comportando l’annullamento di diversi contratti stipulati e, di conseguenza, l’assenza di quotazioni nei listini delle Camere di commercio e delle Borse Merci Italiane. Inoltre, ad aggravare una situazione già tesa per l’impossibilità di far partire i carichi dai porti del Mar Nero, è stata la decisione del Governo ucraino di sospendere le esportazioni di alcuni beni alimentari, tra cui appunto l’olio di semi di girasole”. L’utenza privata che acquista nella grande distribuzione rappresenta solo una parte del mercato, quando in realtà una fetta importante di economia italiana impiega questo olio. Industria alimentare, industria oleochimica ed energetica con il biodiesel e farine per uso zootecnico sono tutti segmenti che si avvalgono dei semi di girasole e dell’olio che se ne estrae. Non ci si limiti quindi a pensare alle fritture casalinghe, ma si estenda il pensiero al comparto della ristorazione e pasticceria che subiranno rincari nelle forniture anche per farina, pasta e zucchero, nonché nelle forniture energetiche; ragionamento da estendere all’industria conserviera e salsiera.
di
Lara Loreti
Nella nota diffusa venerdì 11 marzo dal Ministero dello Sviluppo Economico si legge che “entro un mese, con l’attuale andamento dei consumi, le scorte di olio di semi di girasole sono destinate a esaurirsi. La situazione potrebbe inoltre complicarsi ulteriormente, se il conflitto dovesse proseguire, perché salterebbe la semina prevista in primavera.” Una questione che si somma alla problematica degli approvvigionamenti e alla necessità di individuare possibili sostituti, con la relativa necessità di aggiornare le etichette riportanti gli ingredienti in conformità con il regolamento UE 1169/2011. Questione non da poco considerati tempi e costi per la stampa di nuove etichette quindi, prosegue la stessa nota, “transitoriamente, in vista dell’adeguamento progressivo delle etichette, i produttori, nel rispetto della sicurezza e corretta informazione dei consumatori, potranno prevedere l’introduzione attraverso il getto d’inchiostro o altri sistemi equivalenti (es. ticket adesivi) di una frase che indichi quali oli e/o grassi siano stati impiegati in sostituzione dell’olio di girasole, segnalando l’eventuale presenza di allergeni.” Una comunicazione analoga per la distribuzione che dovrà informare nel minor tempo possibile e nel modo migliore i consumatori con avvisi, cartellonistica evidente sugli scaffali dove sono allocati tali prodotti e informazioni sui canali web. “In aggiunta – prosegue la nota del MISE – tenuto conto del possibile perdurare di incertezze in termini di approvvigionamento di oli e grassi vegetali, per la stampa delle nuove etichette, in via transitoria e segnalando sempre l’eventuale presenza di allergeni, si consente di riportare nella lista degli ingredienti la dizione generica della categoria oli e grassi vegetali seguita dalle origini vegetali potenzialmente presenti, in considerazione delle forniture disponibili – es. “oli e grassi vegetali (girasole, palma, mais, soia, ecc.)”.
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