Se conosciamo la musica andina lo dobbiamo anche a loro. Se una parte della musica latinoamericana è entrata a far parte della cultura popolare italiana il merito è in parte anche loro. Gli Inti-Illimani, dal Cile, sono stati parte della nostra storia, quando nel 1973 sono arrivati nel nostro paese sfuggendo alla dittatura di Pinochet, restando in Italia per i quindici anni successivi. Tornano a suonare in Italia, con Giulio Wilson, dal quale prendono il titolo dello spettacolo, Vale la pena”, tenendo fermi i punti centrali della loro musica e della loro vita, il confronto tra gli uomini, il dialogo, la libertà umana, la “vita come una sorpresa”. Il giro di concerti è partito ieri a Salsomaggiore e andrà avanti fino al 18 marzo.
Chi sono gli Inti-Illimani oggi? Un pezzo di storia, ma allo stesso tempo una band contemporanea, una formazione che affonda le proprie radici nelle tradizioni della musica latinoamericana e che guarda costantemente in avanti, provando a portare quei suoni, quelle storie, quelle culture, nel grande flusso della musica di oggi: “Cerchiamo ancora i suoni della realtà”, diceJorge Coulón Larrañaga, storico componente della band cilena, “mettendoli in sintonia con i nostri contenuti. Una musica con un linguaggio proprio basato sulla nostra esperienza”.
Tenere il passo con la realtà è impegnativo…
“Sì, ma non possiamo fare altro, il rapporto con la realtà è nel nostro dna, abbiamo sempre fatto questo, abbiamo sempre cercato di vivere nella contemporaneità e non solo nella memoria. Se fosse solo memoria, che è sempre importante, saremmo fermi nel tempo e non andrebbe bene”.
Le vostre radici sono in tutta la musica latinoamericana.
“Abbiamo entrambi i piedi piantati nella musica del Cile, che è molto ricca e interessante, ma c’è quella afroperuviana, che viene anche, per così dire, intellettualizzata da chi la mescola con il jazz, c’è la cueca, il candomblè, seguiamo anche quello che accade con musicisti colombiani che sono arrivati un po’ tardi alla festa della musica latinoamericana ma che hanno spopolato a partire dalla cumbia”.
Perché, secondo lei, a differenza di quello che accade in Europa ma anche negli Usa, le tradizioni musicali latinoamericane sono ancora così vive?
“Potrei solo fare ipotesi, credo che il fatto che le classi popolari sono emarginate da tutto. Ed è molto raro che in Colombia, nella Sierra del Perù, o nelle profondità del Venezuela arrivino la musica e la cultura angloamericana. La gente in quei luoghi non ha accesso alla comunicazione come la intendete in Europa, sviluppano una cultura molto legata alla loro identità. Noi viviamo nella pratica una forma di apartheid che non è imposto dalle leggi ma dalle condizioni economiche”.
E voi queste culture le volete rappresentare tutte.
“Senza dubbio abbiamo avuto la pretesa, fin dall’inizio, un po’ ambiziosa, fare una musica completamente latinoamericana, mescolare tutta la ricchezza che abbiamo cominciato a scoprire viaggiando da studenti. Quando abbiamo cominciato la musica tradizionale si studiava da entomologi, ci dicevano che era roba mummificata. Invece noi abbiamo cominciato a riscoprire ritmi e strumenti e a portare alla luce quello che era ancora molto vivo. La nostra, se possiamo dirlo, è la musica latinoamericana di un paese ancora da inventare”.
Tornate ancora una volta a suonare nel nostro paese. Il rapporto con l’Italia è stato importante nella vostra storia ma lo è tutt’ora.
“Molto. L’origine del rapporto è stata involontaria, ma la storia dei nostri quindici anni in Italia, a causa della dittatura in Cile è stata bellissima. Per me, nonostante siano 34 anni che sono tornato in Cile, quel periodo, tra i miei 25 e i miei 40 anni, è stato formativo, essenziale, sono diventato quello che sono oggi. E ho sempre amato la curiosità degli italiani, soprattutto la loro apertura dal punto di vista musicale, come hanno dimostrato negli anni tanti grandi artisti che hanno mescolato la cultura italiana con quella di tanti altri posti del mondo. Noi amiamo questa curiosità e l’abbiamo fatta nostra”.
Cosa ascolteremo nei concerti italiani?
“E’ un dramma scegliere diciassette o diciotto in un repertorio vasto come il nostro. Faremo le canzoni che la gente vuol sentire da noi, ma anche le proposte nuove, cose più antiche e cose originali. Una serata di memoria ma anche di attualità”.
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