Il marcatore rosso segna il punto in cui, sulle rive del fiume Little Tallahatchie, nei pressi di Glendora, Mississippi, fu ritrovato il corpo di Emmett Till. Era un ragazzo nero di Chicago che in quell'estate del 1955 stava passando le vacanze a casa dei cugini; qualche sera prima, in un negozio, aveva fischiato a una donna bianca. Il marito di lei e il suo fratelllastro lo rapirono, lo torturarono, gli spararono e lo gettarono nel fiume. Aveva quattordici anni.
Il caso Emmett Till suscitò enorme scalpore negli Stati Uniti. Al funerale tutti videro il suo corpo martoriato, perché la madre aveva voluto che la bara restasse aperta. Giù in Mississippi, però, una giuria composta da 12 maschi bianchi mandò assolti i responsabili (la camera di consiglio durò poco più di un'ora, ma un giurato dichiarò: "se non avessimo fatto una pausa per prenderci una bibita ci avremmo messo anche meno"). Fu una delle scintille che accesero il movimento per i diritti civili dei neri americani. Ma solo lunedì scorso il Congresso di Washington ha approvato l'Emmett Till Anti-Lynching Act, una legge che rende il linciaggio un reato federale. Ci sono voluti 67 anni e più di 200 tentativi falliti.
Il caso Emmett Till ha a che fare anche con una tappa importante nella storia del giornalismo italiano: nel suo primo numero, il 2 ottobre 1955, L'Espresso appena fondato da Arrigo Benedetti ed Eugenio Scalfari mise in copertina (in alto) la foto di uno degli imputati mentre, insieme alla moglie, ascoltava soddisfatto il verdetto di assoluzione. Come di sicuro saprete, proprio lunedì il gruppo editoriale erede di quello che portava il suo nome – e che pubblica anche la Repubblica e il Venerdì – ha annunciato la vendita dell'Espresso a un altro editore. Questa rubrica è anche un modo per dargli un amaro, riconoscente saluto.
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