ODESSA – Roman Shvarcman tiene una valigetta accanto all’uscio di casa: qualche ricordo, biancheria, un paio di scarpe. Appena suonano le sirene e sente gli scoppi della contraerea, l’afferra e corre giù per dieci piani di scale. Si nasconde nel rifugio sotterraneo e resta immobile per ore, nel buio e al freddo. “E’ la borsa che avevo da bambino – dice – quando con la mia famiglia sono stato chiuso nel ghetto di Slobodka”.

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