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Alzheimer, un test della memoria potrebbe anticipare la diagnosi

Un semplice test che misura la capacità di ricordare gli oggetti osservati in una precisa frazione di tempo. Può bastare questo a prevedere chi si ammalerà di Alzheimer prima che si manifestino i sintomi? È quello che a New York i ricercatori dell'Albert Einstein College of Medicine hanno cercato di capire, sottoponendo a un test mnemonico quasi 4.500 persone, classificandole poi in gruppi a seconda del punteggio ottenuto.

I risultati dello studio, pubblicati da Neurology (la rivista dell'American Academy of Neurology), hanno evidenziato che nei gruppi dalle performance di memoria poco brillanti, le percentuali di persone con placche di beta-amiloide nel cervello – una proteina considerata un importante fattore di rischio per l'Alzheimer – erano più alte rispetto a quelle nei gruppi di partecipanti classificati con i punteggi migliori.

Una scoperta, sostengono i ricercatori, utile a identificare i segnali di declino della memoria che precedono la demenza di diversi anni. Con un vantaggio concreto: individuare i pazienti sui quali le terapie sperimentali hanno più probabilità di funzionare, da arruolare negli studi clinici.

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Cosa ha rivelato il test

Ai partecipanti, per lo più settantenni e dalle normali capacità cognitive, sono state mostrate le immagini di determinati oggetti e forniti indizi sulle categorie di appartenenza (per esempio per l'immagine dell'uva, l'indizio "frutta" come categoria). In una fase successiva, i volontari hanno cercato di ricordare gli oggetti osservati, rispondendo a domande specifiche, e a coloro che non ci riuscivano è stato chiesto di ricordare la categoria di appartenenza. Una tecnica questa – sottolineano i ricercatori – che aiuta la memoria di chi ha qualche difficoltà a ricordare, ma non le persone con problemi di demenza.

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In base al punteggio ottenuto, i partecipanti sono stati divisi in cinque classi o stadi, da zero a quattro: nelle prime tre classi (0,1,2) chi ricordava gli oggetti anche dopo l'indicazione di alcuni indizi; nelle altre due (3 e 4) chi invece aveva difficoltà a ricordarli pur conoscendo gli indizi.

L'ipotesi degli scienziati era che questi ultimi avrebbero potuto avere accumuli di beta-amiloide e una riduzione del volume dell'ippocampo maggiori dei loro coetanei delle prime classi. Le tomografie cerebrali effettuate sembrano confermarla: esisterebbe una corrispondenza tra basse performance di memoria e presenza di placche di amiloide-beta, evidenziate nel 30% dei casi nel gruppo 0, nel 31% dei casi del gruppo 1, nel 35% di quelli del gruppo 2, nel 40% del gruppo 3 e infine nel 44% del gruppo 4.

Negli stadi compresi da 0 a 2, i disturbi cognitivi lievi manifestati dai partecipanti sembrano inoltre precedere la demenza di 5-8 anni, nel terzo e quarto stadio di appena 1-3 anni.

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"Lo studio ci ha permesso di distinguere i segnali associati a deficit cognitivi lievi che possono progredire in forme di demenza gravi", ha spiegato Ellen Grober, PhD, autrice dello studio e ricercatrice all'Albert Einstein College of Medicine: "Il test potrebbe servire a individuare chi arruolare negli studi clinici ed evitare esami invasivi e costosi a coloro che, pur manifestando défaillance cognitive, non svilupperanno forme di demenza".

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Il livello di istruzione: un limite

Lo studio, però, ha un limite: ha coinvolto solo partecipanti con un alto livello di istruzione. Bisognerebbe quindi verificarne la validità su una fascia di popolazione più ampia. Diverse ricerche associano, infatti, un basso livello di istruzione a un alto rischio di demenza in età avanzata, e un'attività cognitiva, sociale ed intellettuale più intensa a una più alta riserva cognitiva, ovvero a una più alta capacità del cervello di resistere agli effetti del danno neuropatologico.

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