Qualcuno ci aveva riso sopra: un Macbeth in sardo. E non sarebbe stato un problema se quello spettacolo, Macbettu, non fosse diventato il più grande successo del 2017 e da cinque anni in qua è ancora applaudito dal Giappone al Sudamerica, dalla Finlandia a Milano a Roma dove dal 15 al Vascello torna in scena. E non è una sorpresa, perché quello spettacolo è il risultato dei 15 anni di lavoro, e dunque di tecniche, ricerche, passione della compagnia Teatropersona e del suo leader, il regista Alessandro Serra, 48 anni, di Civitavecchia, origini sarde, artista a 360 gradi (scene, costumi, luci, traduzione e adattamento sono sempre sue) che mette lo spettatore in relazione coi testi in modo nuovo. E infatti, ora lo si attende con La tempesta alle Fonderie Limone di Moncalieri dal 15 marzo per il Teatro Stabile di Torino in coproduzione col Teatro di Roma, Ert, Sardegna Teatro, I Teatri di Reggio Emilia (tutti luoghi dove si vedrà fino a maggio) cui si aggiungerà quasi certamente il festival di Avignone che lo ospiterà a luglio. E che si tratti di una produzione importante lo dice la tournée internazionale già fissata, l'anno e più di studio e l'impegno di un cast di 12 attori di Teatropersona e di altri incontri, Fabio Barone, Andrea Castellano, Vincenzo Del Prete, Massimiliano Donato, Paolo Madonna, Jared McNeill, Chiara Michelini, Maria Irene Minelli, Valerio Pietrovita, Massimiliano Poli, Marco Sgrosso, Bruno Stori.
Alessandro Serra è il suo secondo Shakespeare: ce lo racconta?
"La tempesta non era nei miei programmi, dopo Macbettu pensavo a una trilogia sul potere con Riccardo III e Re Lear. Invece, scrivendo un saggio che mi aveva chiesto la Feltrinelli ho riletto la storia di Prospero, re spodestato che approda in un'isola e fa magie e prodigi per vendicarsi, e ora mi rendo conto di aver fatto comunque uno spettacolo sul potere: potere come usurpazione del potere, potere dinastico. Ma anche potere del teatro ed è stato commovente, perché preparavo lo spettacolo ed erano i mesi del lockdown, ci erano saltate le repliche di Macbettu al Barbican e a Hong Kong, una lunga tournée del Giardino dei ciliegi, tanti compagni non lavoravano e nella Tempesta si sente così forte il teatro".
Cosa vuol dire?
"Che al di là della metafora di Prospero regista e demiurgo è un testo disseminato di 'to act', 'to play', 'to perform'… E tutta la storia è un omaggio al teatro coi mezzi del teatro, ai guitti che coi loro trucchi da due lire possiedono una forza che trascende la realtà nella sua forma più alta. E questo tocca anche il mio lavoro".
In che modo?
"Il teatro sa aprire le porte della camera interiore di ciascuno di noi, la vita è più vita della vita, ecco perché la sorgente primaria di Shakespeare erano gli attori, e così i giganti del Novecento, che considero i miei maestri: Peter Brook, Tadeusz Kantor, Jerzy Grotowski, Pina Bausch hanno tutti avuto una compagnia. Ed è la ragione per cui ho sempre lavorato con Teatropersona, nonostante qui in l'Italia mi pare ci sia la scelta deliberata di ostacolare le compagnie limitandone le possibilità di produzione e circuitazione. Qui a Torino ci è stata data ospitalità. Un'anomalia che mi auguro possa ripetersi per noi e per altri".
Di Prospero che ne pensa?
"È una figura negativa, con le sue magie imprigiona gli spiriti, scatena la natura, ma è mosso dalla vendetta e in più è un usurpatore della cultura indigena. Ed è privo di trascendenza. Ma la cosa straordinaria è che attraverso Ariel, puro spirito, impara la compassione, cioè l'umanità. Ed è un bellissimo passaggio, quando alla fine spezza il suo magico bastone, seppellisce il libro dei trucchi e perdona, in un modo che definirei evangelico, altissimo, quando cioè non ce ne sarebbe bisogno perché i suoi nemici sono ai suoi piedi".
La Tempesta è un testo che tutti i grandi registi hanno affrontato, Peter Brook, Strehler. Ci sarà qualche riferimento?
"No. Però ho imparato da Grotowski a non aver paura dei cliché, anzi ad affrontarli per non offuscare gli archetipi, visto che il confine è sottile: il teschio di Amleto può essere archetipo della morte ma anche il cliché dell'Amleto. Questo per dire che i famosi teli azzurri con cui Strehler rappresentò la scena iniziale della tempesta e che ormai si chiamano 'teli tempesta', li ho usati volutamente, ma in una forma più rudimentale, cucendo insieme delle stoffe, perché il difficile della Tempesta è la tempesta, scatenarla in modo antico e inedito, senza mai tradire il testo".
Non è "solo" un mal di testa. Emicrania: regole, sintomi e prevenzione di uno dei…
Infezioni in gravidanza, ogni anno un neonato su 150 colpito da citomegalovirus, circa 300 nascono…
Morbillo, quasi raddoppiati i casi in un mese: cosa sta succedendo e cosa fare Corriere…
Sonno e intestino: così il microbiota intestinale influenza il riposo (e viceversa). Come intervenire Corriere…
DELFINATO, È IL TADEJ POGAČAR SHOW. TAPPA E MAGLIA PER LO SLOVENO TuttobiciwebVisualizza la copertura…
LIVE Judo, Mondiali 2025 in DIRETTA: ASSUNTA SCUTTO, ORO DA DOMINATRICE! OA SportMondiali Judo: Assunta…