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Viaggio tra i ristoranti dell’Espresso: Del Cambio, Aqua Crua, Atman a villa Rospigliosi

Figure tanto cruciali quanto spesso relegate – almeno per il grande pubblico – sullo sfondo di un successo del quale sono decisamente più coprotagonisti che comprimari: si tratta dei “secondi” oppure, usando la lingua che ne ha codificato il ruolo, dei sous-chef, preziosissimi elementi che costituiscono la spina dorsale di una cucina e sono in grado di sostituire il ‘capo’ gestendo la brigata senza intoppi. Va da sé che anche per queste persone arriva quasi sempre il momento di spiccare il volo ed esprimere finalmente del tutto la loro personalità nei piatti di un ristorante che li vede al timone della cucina. Dalla guida 2021 abbiamo scelto tre cuochi a questo proposito emblematici, i quali hanno vissuto un importante tratto del loro percorso professionale a fianco di altrettanti grandi chef italiani, divenendo poi a loro volta dei punti di riferimento indiscussi.

Matto Baronetto (foto Andrea Moretti)

Sono trascorsi ormai parecchi anni da quando Matteo Baronetto poco prima dei suoi quaranta si è trasferito nell’elegantissimo locale in Piazza Carignano a Torino. Lo ha fatto dopo un lungo periodo a Milano in via Victor Hugo con un innovatore come Carlo Cracco. La sua cucina è un’evidente espressione di grande originalità, alta tecnica e gusto notevole: il ristorante Del Cambio, quattro cappelli in guida, viene raccontato così: “È un tempio, della storia ancor prima che della cucina, il Cambio, con il suo tavolo di Cavour e fuori dalle finestre il palazzo dove si è fatta l’Unità d’Italia. La proprietà che lo ha rilevato nel 2014 ha tolto la polvere da specchi e stucchi e lo chef Matteo Baronetto ha portato dentro l’elegante involucro sabaudo un cuore contemporaneo. Lo affianca, in sala e in cucina, una squadra giovane di età e di spirito. Baronetto è nella piena maturità professionale. Che significa non doversi chiedere a ogni portata che cosa quel piatto significhi, che tecniche ci siano dietro, se si tratti di avanguardia o tradizione. I suoi piatti, pur complessi e creativi, regalano piacere al palato e alla mente.

Come gli straordinari scampi con mascarpone affumicato e purea di fagioli alla salvia, piatto di solo apparente assoluta semplicità, o l’“insalata piemontese”, un classico, dove decine di verdure e frutta sono condite in modo eccezionale. O il ‘ramen’, che lo chef traduce dal giapponese al piemontese grazie a un grande brodo, ai peperoni, alla testina di vitello al posto del maiale. Raffinato il riso con noce moscata, spinaci e ricci di mare, mentre la costoletta alla milanese sta nella scia di quella paradigmatica di Gualtiero Marchesi. Il perfetto soufflé alle nocciole è la giusta conclusione del pasto in un locale dove le cucine piemontese e italiana raggiungono altissimi livelli. La carta dei vini è enciclopedica, dal Piemonte al mondo. Menu da 105 a 210 euro. Alla carta sui 110. “

Giuliano Baldessari

Un vero e proprio personaggio, istrionico e tormentato, dal talento cristallino e dalle idee in costante evoluzione creativa. È Giuliano Baldessari, un cospicuo passato ai fornelli de Le Calandre di Rubano a supportare un grande cuoco – silenzioso, visionario e concentrato – come Massimiliano Alajmo. Il suo Aqua Crua nell’edizione 2021 della nostra guida vale tre cappelli: “Il cuoco è un giovane quarantenne che ha molto da dire in cucina e lo esprime con competenza unita a modestia. In più ci aggiunge un pizzico di giocosità che incuriosisce e spesso spiazza piacevolmente. La sua è una cucina ricca di vivacità, fantasiosa e per questo un po’ provocatoria. A partire dal simbolo che ha scelto: il ‘frattale’, figura geometrica dove la parte più piccola è identica al tutto, perché il ‘frattale’ sottintende una crescita armoniosa, nella quale ogni pezzo, in questo caso ogni piatto, concorre a uno sviluppo progressivo. Gioco e sorprese, quindi, sbucano spesso nei suoi piatti. Per esempio nell’“Illusione”, che appare come bresaola e invece è passata di pomodoro essiccata fino a ridurla a sottilissime fette; nello spaghetto al nero dove la pasta è un’alga; nel formaggio “sembra un Brie”, in realtà è carne con la muffa (non ammuffita, sia chiaro); nella pallina bianca che sembra mozzarella e quindi ci si aspetta il latte mentre esplode in bocca l’acqua di pomodoro. Questo è “il mondo come volontà e rappresentazione” di Giuliano “Schopenauer” Baldessari: l’immagine è sempre riduttiva rispetto alla realtà. Così il cuoco gioca e stupisce, perfino nei dolci: la “crema carbonizzata” non è una crème brûlée ma proprio carbone vegetale. E il resto si trova in due menu degustazione, “Frattali” (95 euro) e “Iniziazioni” (135), con gli abbinamenti del sommelier Paolo Rancati; i piatti si possono comunque assaggiare anche alla carta. In media 100 euro.”

Atman – Marco Cahssai

Colto, profondo, una grande attenzione per la campagna che sta intorno alla magnifica villa che ospita Atman e dalla quale attinge a piene mani, Marco Cahssai è un cuoco che si esprime con una naturale tendenza a scatenare l’istinto per poi riprenderne le redini nel piatto. Da un mentore come Igles Corelli, tra i giganti della nuova cucina italiana, ha appreso molto per poi sviluppare una (forte) personalità tutta sua. È in guida con quattro cappelli: “In questo ‘spicchio’ di Toscana dominato dalla maestosa Villa Rospigliosi, l’estro incontenibile di Igles Corelli ha tracciato la strada. Nel suo solco, il giovane allievo Marco Cahssai, lasciato libero, si è alzato sui pedali di una cucina che sta raggiungendo vette delle quali la Toscana era digiuna da tempo. Pacato, ascoltatore, appassionato, questo cuoco sembra in particolare simbiosi con le materie prime che usa. Il suo è uno stile classico, col gusto per le provocazioni forti sul palato. La cucina giostra tra piatti ‘carezza’ – come le “lumache, clorofilla, erbe e Carnaroli liquido”, il “risotto, ranocchi e cedrina”, il “cervello in scapece ai fiori di zucca” – e ricette invece sferzanti, come i “tagliolini in brodo tiepido di terra di funghi, fagiano crudo, ibisco, bietole e lieviti” o il “capriolo in carpione di aglio nero ed erbe amare“. Assaggi come la “coscia di lepre in raviolo alla royale” sono la degna sintesi di una cucina di straordinaria eleganza. Finezza che non viene derogata nemmeno ai dolci, con la classica, impeccabile “millefoglie”. Ci sono tre cantine, una per i rossi e due tra bianchi e bollicine, dove scegliere anche direttamente allo scaffale con il bravo sommelier, incluse annate vecchie e grandi etichette. Menu degustazione da 120 e 140 euro, alla carta sugli 80".

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