Torino. Non voleva essere il buio del Cuore di Tenebra di Joseph Conrad, forse più un inno alla ricerca della libertà di Wild at heart, il Cuore selvaggio del film culto di David Linch. Ma i protagonisti di questa edizione numero 34 che il Salone internazionale del libro di Torino ha voluto dedicare ai Cuori selvaggi quando l’eco delle bombe non aveva ancora proiettato nuove ombre sulla terra, porteranno necessariamente al Lingotto le loro analisi su un mondo che non assomiglierà affatto a quello vissuto negli ultimi trent’anni. «Torino a maggio sarà per forza di cose uno dei più importanti luoghi a livello internazionale di ragionamento e d’incontro per chiunque creda che a dischiudersi nei nostri cuori sia la parte luminosa dell’amicizia, della festa e ovviamente della pace», dice il direttore editoriale Nicola Lagioia.
A maggio, dunque, dal 19 al 23, a poco più di quattro mesi dall’edizione straordinaria di ottobre che ha dimostrato quanto sollievo possono regalare la letteratura e le arti dopo due anni di reclusione, alla Bookfair torinese ci sarà la Casa della Pace per ospitare le iniziative umanitarie per l’Ucraina, incontri pubblici, dialoghi. Una piccola libreria a cura di Colti, il consorzio delle librerie torinesi indipendenti, proporrà una bibliografia dedicata alla letteratura ucraina e un grande libro raccoglierà i messaggi di pace dei visitatori.
La voce narrante della presentazione di ieri è dell’attrice ucraina Lidia Liberman. Le parole sono quelle di Taras Shevchenko, nato in Ucraina e morto in Russia, perseguitato dal regime degli zar, le poesie di Lina Kostenko, della generazione dei 60 dei poeti ucraini. Poi un lungo post del 2 marzo scorso di una donna di Kharvok. Il manifesto dell’edizione numero 34 è firmato da Emiliano Ponzi: «Due ragazzi che vanno a prendersi il mondo», dice Lagioia che alle nuove generazioni affida il grande compito di correggere le traiettorie sbagliate prese dai loro genitori. La decisione dell’Università Bicocca che ha suscitato tante polemiche sul veto alle lezioni di Paolo Nori su Dostoesvskij per il direttore del Salone è stato un errore: «Al Lingotto non ci saranno delegazioni governative russe, ma diciamo sì agli autori russi, ai forum e reading sulla letteratura russa».
I primi cuori selvaggi annunciati ieri sono la scrittrice dell’Oman diventata una star Jokha al-Harthi inseguita da tempo dagli scout della fiera torinese, l’autore texano Joe Lansdale con il nuovo Moon Lake per Einaudi Stile Libero, il regista Werner Herzog. Dal Cile arriva Benjamin Labatut che racconterà Quando abbiamo smesso di capire il mondo. Le frontiere bloccate dai timori del Covid si riaprono e tornano i grandi nomi internazionali: Annie Ernaux, Joel Dicker per presentare in anteprima Il Caso Alaska Sanders, la scrittrice andalusa Cristina Morales, l’americana Jennifer Egan che con Il tempo è un bastardo ha vinto il National Book Critics Circle Award. E al Salone di Torino che sin dai suoi esordi ha fatto della contaminazione il suo principio cardine, arriva anche l’uomo dei sogni di Tokyo, Marcell Jacobs che presenta la sua autobiografia. «La cultura e l’arte hanno sempre cercato di esplorare il nostro cuore di tenebra, ma anche di favorire gli slanci luminosi di cui sono capaci i nostri cuori — spiega il direttore — Ora confidiamo in questi cuori selvaggi perché sconfiggano il selvaggio nei cuori».
Un record è già stato battuto, questa edizione sarà la più grande di sempre: 110.000 metri quadri, 11.000 già acquistati dagli editori, il 20 per cento in più rispetto alle passate edizioni. Tutto cambia e anche il Salone internazionale di Torino avrà un altro direttore a partire dall’edizione del 2024. A maggio 2023 alla guida ci sarà ancora Nicola Lagioia, ma sarà affiancato dal nome nuovo cercato attraverso una manifestazione di interesse che sarà pubblicata al termine dell’appuntamento di quest’anno. Lo scrittore barese ha già annunciato che non parteciperà all’avviso pubblico. «Nel 2023 saranno sette anni. Sono tanti — sorride — . Sono stato chiamato come direttore editoriale ma siamo passati attraverso il braccio di ferro con Milano, il fallimento della Fondazione per il libro, la pandemia — sorride — Come prova di resistenza mi pare sufficiente».
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