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Quand’è che abbiamo smesso di venerare gli anziani

AGI – Alcuni anziani di un ospizio nei dintorni di Roma sono stati trattati per mesi come se si trovassero in un lager. Siamo in una struttura ad Anzio, lungo il litorale di Roma, e ai carabinieri giungono strane voci. Parte così un'indagine. Diretti da Maurizio Santori e coordinati dalla Procura di Velletri i militari piazzano all'interno del centro registratori audio e telecamere.

Riescono così a dimostrare che gli anziani vengono sottoposti a vessazioni sistematiche: lanci di oggetti, spintoni, insulti di ogni tipo, botte, intimidazioni. Alle vittime venivano somministrate dosi massiccie di tranquillanti così da essere costrette a dormire nelle loro camere dalle 18 fino al mattino successivo senza disturbare nessuno; allora poi veniva dato loro latte allungato con acqua così da permettere maggiori profitti.

È lontana l'epoca in cui in un paesino le anziane erano venerate da tutte non come "vecchie" ma come "nonne": madri di tutto il paese, circondate dall'affetto di tutti. Pare di capire che, nel caso di cronaca segnalato, ci sia stato chi ha raccolto il grido di amarezza e di solitudine di questi anziani.

La loro cura certo è in primo luogo un dovere dei parenti ma essi non possono essere lasciati soli in questo, soprattutto se, a propria volta, hanno famiglia e figli. I centri per anziani devono avere le condizioni minime che garantiscano la dignità della persona e, anzi, devono essere potenziati.

Ma è chiaro che dovremmo essere tutti vicino a chi è oltre una certa età. Se abbiamo un anziano vicino di casa, dovremmo aiutarlo nella spesa, accompagnarlo alla posta, avere il numero di telefono dei figli in caso di bisogno; referenziare badanti oneste e affettuose, insomma farci tutti “rete” per sostenere le persone avanti in età e chi si prende cura di loro.

Papa Francesco deplora giustamente la “cultura dello scarto”: ma non possiamo riuscirci da soli. È necessaria un'operazione di "care taking" diffusa. Ogni condominio, parrocchia, comprensorio residenziale dovrebbe adottare un anziano. Spesso si tratta solo di fare qualche telefonata, portare la spesa, fare un po' di compagnia, ascoltare, raccontare.

La solitudine è sempre più il male del nostro tempo perché essa è destinata a gravare sulla vita dei meno autosufficienti ben oltre la fine della pandemia. Per il coronavirus conosciamo ormai la cura: per la solitudine delle persone avanti in età, invece, il vaccino siamo noi se sapremo adoperarci per ricucire la trama lacerata tra le generazioni.

La cura sono le nostre parole, le nostre mani, se sceglieremo di donare a chi è più avanti negli anni tempo e attenzione. Nel caso di Anzio l'intervento delle forze dell'ordine è stato sacrosanto e ci sprona alla sfida della socialità: un compito uguale e contrario a quello del distanziamento. Pur con la dovuta prudenza ci aspetta con urgenza il dovere della sensibilità, dell'interdipendenza, della comunanza di destini.

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