L'obiettivo è ambizioso e giustifica il grande entusiasmo con cui è stata salutata la risoluzione concordata ieri dall'Assemblea delle Nazioni Unite per l'ambiente (Unea). L'Unea, riunita a Nairobi, ha infatti approvato all'unanimità un documento che impegna gli Stati membri a elaborare entro il 2024 uno "strumento internazionale giuridicamente vincolante" per "porre fine all'inquinamento da plastica".
Le idee
di
Bruno Pozzi*
Al momento si tratta di un primo passo per avviare dei negoziati formali, ma il testo sottoscritto da quasi 200 Paesi pone dei paletti molto importanti per affrontare una delle emergenze ambientali maggiori e per la sua portata internazionale stato definito un "Accordo di Parigi" per la plastica. L'Unea ha infatti messo nero su bianco che per ridurre in maniera efficace la dispersione di plastica bisogna agire in maniera coordinata e con strumenti vincolanti per la maggior parte dei Paesi del mondo. Proprio come accade per la crisi climatica: o si coinvolge il maggior numero di governi possibile, oppure misure locali rischiano di venire vanificate, perché, come ampiamente dimostrato dalla scienza, l'inquinamento da plastiche raggiunge ogni angolo del Pianeta.
Longform
di
Jaime D'Alessandro
Le prime righe del documento riportano infatti le considerazioni che "i livelli elevati e in rapido aumento di inquinamento da plastica rappresentano un un grave problema ambientale su scala globale, con un impatto negativo sulle dimensioni ambientali, sociali ed economiche dello sviluppo sostenibile" e riconoscono che "l'inquinamento da plastica include le microplastiche", notoriamente capaci di diffondersi anche per via aerea.
La risoluzione sottolinea che il problema dell'inquinamento da plastica va affrontato guardando all'intero ciclo del materiale, dalla sua produzione al suo smaltimento. Il testo indica chiaramente che esistono le soluzioni tecnologiche e "l'importanza di promuovere la progettazione sostenibile di prodotti e materiali in modo che possano essere riutilizzati, rifabbricati o riciclati e quindi mantenuti nell'economia il più a lungo possibile insieme alle risorse di cui sono fatti, oltre a ridurre al minimo la generazione di rifiuti, il che può contribuire significativamente alla produzione e al consumo sostenibile della plastica".
Come detto, ora si apriranno trattative complesse, perché, come per l'abbandono dei combustibili fossili, non tutti i Paesi che si sono impegnati a raggiungere un accordo partono da uguali economie, risorse scientifiche e livelli tecnologici. Tuttavia ci sono buoni segnali: l'approvazione del testo è stata seguita da una standing ovation di circa un minuto e la risoluzione si basa su tre proposte presentate rispettivamente da Perù e Ruanda (quella che ha ricevuto il maggior sostegno, di una sessantina di Paesi), Giappone e India.
È la conferma che l'entità del problema è chiara non soltanto ai Paesi dove si sono già avviate politiche di riduzione della plastica. La scorsa settimana l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse) ha pubblicato un report in cui avverte che la produzione di plastica nel mondo è raddoppiata dal 2000 al 2019, così come i rifiuti da essa generati.
L'Ocse stima che ci siano 30 milioni di tonnellate di plastica nei mari e altri 109 milioni di tonnellate nei fiumi, il che significa che anche questa continuerà a essere scaricata negli oceani per decenni.
Lo studio
di
Annalisa Bonfranceschi
I negoziati per arrivare a un accordo giuridicamente vincolante non partono dal nulla. Fedra Francocci, ricercatrice del Cnr e docente di economia ambientale, è attivamente impegnata nel progetto Blue Med, che sostiene l'attuazione delle direttive e delle politiche europee anche contro l'inquinamento da plastica nel Mediterraneo. "Nel 2019 è stato siglato un accordo nel Mediterraneo, che è considerato un vero 'punto caldo' per la plastica, vista la grande popolazione che si concentra sulle sue coste – dice Francocci – L'accordo consiste nel condividere le migliori buone pratiche per la riduzione, la mitigazione e la gestione dell'inquinamento da plastica in ambiente marino. Sono stati coinvolti tutti i Paesi del Mediterraneo perché, come oggi indica l'Unea, il problema delle plastiche è globale, il mare non ha confini e una dimensione transnazionale delle politiche è più che mai urgente".
Social network
di
Giulia Ciancaglini
"La ricerca scientifica non lascia dubbi – continua l'esperta – l'inquinamento da plastica è presente ovunque, nei suoli come nelle acque interne, in ambienti remoti come le montagne o le regioni polari. Di recente uno studio del Fatebenefratelli di Roma ha trovato tracce di microplastiche nella placenta umana. Per tutti questi motivi un insieme di azioni congiunte e immediate è indispensabile: bisogna capire quali sono gli effetti sinergici che portano all'inquinamento diffuso e approntare strumenti giuridici per impedire un peggioramento della situazione".
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