4 uova fresche, polpa di pomodoro, uno spicchio di aglio, foglie di basilico fresco, olio extravergine di oliva, sale, pepe, parmigiano grattugiato
In una padella di medie dimensioni mettere un giro di olio extravergine di oliva e lo spicchio di aglio sbucciato. Far soffriggere e poi aggiungere la polpa di pomodoro, unendo anche poca acqua, il sale e il pepe. Lasciar cuocere il sughetto a fiamma media per circa un quarto d’ora con coperchio poi aprire direttamente in padella le quattro uova fresche, lasciando tra loro un po’ di spazio. Cuocere con il coperchio circa sei minuti, per far in modo che i tuorli rimangano morbidi e perfetti per inzupparci dentro del pane casereccio. Prima di servire in tavola spolverare sulle uova del parmigiano grattugiato fresco e aggiungere qualche foglia di basilico.
Le uova sono l’alimento più quaresimale che esista, se poi sono “in purgatorio” diventano anche penitenziali! Per fortuna mangiarle è tutt’altro che una penitenza (compresa la “scarpetta” finale nel sugo)! Questo piatto è una suggestione visiva perché l’albume ricorda quelle immagini votive in cui anime diafane e con vesti candide tentano di sottrarsi alle fiamme dell’inferno che le vogliono avvolgere: nel nostro caso dal rosso del pomodoro e dall’arancio del tuorlo. In realtà sono un piatto “della carestia”, quelli con cui si riciclava il cibo rimasto il giorno prima per evitare sprechi: l’antica ricetta napoletana prevedeva infatti la cottura delle uova nel ragù avanzato della domenica. La pietanza è anche molto simile alla shakshuka, di origine maghrebina ma diffusa anche nella cucina israeliana, in cui le uova si fanno cuocere affogate in un sugo di pomodoro, solitamente aromatizzato con cumino, paprika e peperoncino.
Un brutto pomeriggio in redazione quello del 6 marzo 2007: Daniele Mastrogiacomo, inviato nel sud dell’Afghanistan per un reportage nella provincia di Halmand, non risponde al telefono dal giorno prima. Il direttore Ezio Mauro, quasi non credendo a quello che dice, sussurra “da ieri non sentiamo Daniele. Dobbiamo trovarlo”. E invece Daniele Mastrogiacomo, il suo autista e l’interprete sono caduti in un’imboscata e sono ostaggi di un gruppo di taliban. Da quel momento – e per tutti i giorni a venire – la redazione diventa un ufficio di coordinamento tra tutte le forze – politiche, istituzionali e umanitarie – che collaborano tra loro per capire dove siano stati portati gli ostaggi e quali strade percorrere per la loro liberazione. Il 7 marzo il titolo non è “il nostro Daniele” ma “Giornalista” perché il rapimento di un reporter riguarda la professione stessa, il lavoro di chi va al fronte per raccontarci i fatti in prima persona. E inevitabilmente, come scrive Bernardo Valli, “i cronisti che vanno sul posto sono quasi sempre soli”.
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