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Pasolini, cento anni dopo. Un dossier per ricordare lo scrittore corsaro

Pier Paolo Pasolini cent’anni dopo. Cosa rimane oggi dell’intellettuale più amato e odiato del Novecento? Quale eredità ci ha lasciato “uno dei pochi poeti che nasce in un secolo” come gridò angosciato Alberto Moravia subito dopo il delitto di Ostia? E perché, a distanza di quasi cinquant’anni dalla sua morte, PPP fa ancora così paura?

Lo scorso numero di Robinson, il settimanale culturale di Repubblica, ha celebrato Pasolini in una speciale monografia. Nel giorno del centenario dalla nascita, quel lavoro diventa uno speciale sul nostro sito arricchito da altri articoli, libri, iniziative, gallerie fotografiche che ricordano l’opera dello scrittore corsaro, regista maledetto, profeta inascoltato e chissà quanto altro.

LEGGI QUI LO SPECIALE PASOLINI CENT’ANNI DOPO

Pier Paolo Pasolini nasce il 5 marzo del 1922 a Bologna. Primogenito di Carlo Alberto Pasolini, tenente di fanteria, e di Susanna Colussi, maestra elementare. “Sono nato in una famiglia tipicamente rappresentativa della società italiana: un vero prodotto dell'incrocio – scriveva lui – Mio padre discendeva da un'antica famiglia nobile della Romagna, mia madre, al contrario, viene da una famiglia di contadini friulani che si sono a poco a poco innalzati, col tempo, alla condizione piccolo-borghese. Dalla parte di mio nonno materno erano del ramo della distilleria. La madre di mia madre era piemontese, ma ciò non le impedì affatto di avere egualmente legami con la Sicilia e la regione di Roma. Gli effetti dell'unità d'Italia".

Nel 1928 l'esordio poetico: Pier Paolo annota su un quadernetto una serie di poesie accompagnate da disegni. Il quadernetto, a cui ne seguirono altri, andrà perduto nel periodo bellico. Conclude gli studi liceali e, a soli 17 anni si iscrive all'Università di Bologna, facoltà di lettere. Collabora a Il Setaccio, il periodico del GIL bolognese e in questo periodo scrive poesie in friulano e in italiano, che saranno raccolte in un primo volume, Poesie a Casarsa. Partecipa inoltre alla realizzazione di un'altra rivista, Stroligut, con altri amici letterati friulani con i quali crea l'Academiuta di lenga frulana.

Arruolato durante la Seconda guerra mondiale a Livorno, nel 1943, all'indomani dell'8 settembre disobbedisce all'ordine di consegnare le armi ai tedeschi e fugge. Dopo vari spostamenti in Italia torna a Casarsa. La famiglia Pasolini decide di recarsi a Versuta, al di là del Tagliamento, luogo meno esposto ai bombardamenti alleati e agli assedi tedeschi. Qui insegna ai ragazzi dei primi anni del ginnasio.

La morte in guerra del fratello Guido avrà effetti devastanti per la famiglia Pasolini, soprattutto per la madre, distrutta dal dolore. Il rapporto tra Pier Paolo e Susanna diviene così ancora più stretto, mentre con il padre – specialmente dopo la scoperta dell’omosessualità del figlio – il legame si dirada quasi completamente.

In quegli anni comincia la sua militanza politica. Nel 1947 si avvicina al PCI, cominciando la collaborazione al settimanale del partito Lotta e lavoro. Diventa segretario della sezione di San Giovanni di Casarsa, ma non viene visto di buon occhio dal partito e, soprattutto, dagli intellettuali comunisti friulani. Molti “compagni” vedono in lui un sospetto disinteresse per il realismo socialista e una eccessiva attenzione per la cultura borghese.

Il 15 ottobre del 1949 viene segnalato ai carabinieri di Cordovado per corruzione di minorenne avvenuta, secondo l'accusa, nella frazione di Ramuscello: è l'inizio di una delicata e umiliante trafila giudiziaria che cambierà per sempre la sua vita. Espulso dal Pci perde il posto di insegnante, decide allora di fuggire da Casarsa e insieme alla madre si trasferisce a Roma. I primi anni romani sono molto complicati: sono tempi d'insicurezza, di povertà, di solitudine. Pasolini tenta la strada del cinema, fa il correttore di bozze, sbarca il lunario e comincia a frequentare le borgate, il cosiddetto sottoproletariato romano.

Ma i suoi scritti cominciano a essere pubblicati nelle riviste letterarie, riesce anche a trovare un posto nella redazione letteraria del giornale radio Rai, il peggio sembra essere passato. E nel 1954 pubblica il suo primo importante volume di poesie dialettali: La meglio gioventù. Seguito, un anno dopo, dal romanzo Ragazzi di vita che ottiene un vasto successo, sia di critica che di lettori. Sebbene, anche negli ambienti comunisti, si sussurra che il libro è intriso di “gusto morboso, dello sporco, dell'abbietto, dello scomposto, del torbido..”.

Il ministro dell’Interno Tambroni porta a giudizio Pasolini e l’editore Garzanti. E’ una censura bella e buona ma, a sorpresa, entrambi vengono assolti perché il fatto non costituisce reato". Il libro, per un anno tolto alle librerie, viene dissequestrato. Ma Pasolini diventa un bersaglio: lo accusano di tutto, persino di una incredibile rapina a mano armata a un distributore di benzina al Circeo.

E poi c’è il cinema, opere che contribuiscono ad accrescere l’amore e l’odio per un regista mai scontato: collabora con Sergio Citti a Le notti di Cabiria di Fellini, fa l’esordio da attore ne Il gobbo del 1960. L’anno dopo l’esordio da regista con Accattone, film subito vietato ai minori di 18 anni che suscita non poche polemiche alla Mostra del cinema di Venezia. Nel 1962 dirige Mamma Roma, poi l’episodio La ricotta (inserito nel film a più mani RoGoPaG), per il quale Pasolini viene imputato di vilipendio alla religione dello Stato.

Nel '64 Il vangelo secondo Matteo, poi Uccellacci e Uccellini, Edipo re, Teorema, Porcile. Nel 1970 Medea e fino al '74 la triolgia della vita, o del sesso, ovvero Il Decameron, I racconti di Canterbury e Il fiore delle mille e una notte. Fino all’ultimo film-shock, Salò o le 120 giornate di Sodoma concluso poco prima della morte.

La mattina del 2 novembre 1975, sul litorale romane ad Ostia, in un campo incolto in via dell'idroscalo, una donna, Maria Teresa Lollobrigida, scopre il cadavere di un uomo. Sarà l’attore e amico Ninetto Davoli a riconoscere il corpo di Pier Paolo Pasolini. Nella notte i carabinieri fermano un giovane, Giuseppe Pelosi, detto "Pino la rana" alla guida di una Giulietta 2000 che risulterà di proprietà proprio di Pasolini. Il ragazzo, interrogato dai carabinieri, e di fronte all'evidenza dei fatti, confessa l'omicidio.

Racconta di aver incontrato lo scrittore alla Stazione Termini e dopo una cena in un ristorante, di aver raggiunto il luogo del ritrovamento del cadavere. Lì, secondo la versione di Pelosi, il poeta avrebbe tentato un approccio sessuale, e vistosi respinto, avrebbe reagito violentemente: da qui, la reazione del ragazzo. Una verità mai del tutto accertata. Si ipotizza che ci fossero altri quella notte, che sia stato un omicidio politico con diversi esponenti della destra neofascista romana coinvolti e non si chiarirà mai l’esatta dinamica del delitto. Un solo fatto è certo: per la morte di Pasolini l’unico condannato è stato proprio Pelosi.

Nel dossier, a raccontare i tanti aspetti di un intellettuale multiforme, che ha lasciato la sua impronta sulla cultura italiana e che ancora oggi ci parla, sono le firme di Repubblica, gli intellettuali e gli studiosi che si sono dedicati alla sua opera, gli artisti che lo hanno conosciuto e che hanno lavorato con lui, mentre ad accompagnare analisi, ricordi e interviste troverete le splendide immagini di alcuni dei fotografi più celebri che ritrassero PPP, da Dino Pedriali a Roberto Villa.

Lo scrittore Francesco Piccolo dipinge la natura contraddittoria e la molteplicità che lo ha reso “l’artista e l’essere umano più complesso del Novecento”. Basti pensare alle tre definizioni: cattolico, comunista, omosessuale dichiarato. E ognuna di queste era intollerabile per le altre due”. Giancarlo De Cataldo racconta il mistero infinito del suo delitto, il giallo ancora irrisolto intorno al suo cadavere martoriato, ritrovato a Ostia il 2 novembre 1975.

Michele Serra, partendo dalla celebre invettiva pasoliniana “Io so. Ma non ho le prove”, analizza la sua forza di polemista, capace di pronunciare frasi che dette da altri non sarebbero state credibili, come forza non di un semplice intellettuale ma di un artista. Concita De Gregorio racconta le donne della sua vita: la madre Susanna, l’amica Laura Betti, e poi le dive, dalla Callas ad Anna Magnani, che ha voluto come protagoniste dei suoi film, e Paolo Mauri il suo circolo di amicizie, mentre Donatella Di Pietrantonio e Gabriele Romagnoli analizzano il Pasolini che fece del suo corpo un’icona fragile e vigorosa, fino al nudo degli ultimi scatti.

Della dimensione mitica in cui si muoveva Pasolini scrive Raffaella De Santis, che colloquiando con lo studioso Marcello Barbanera ne ricostruisce il rapporto con l’antichità, i viaggi in Oriente e la genesi di opere come Edipo Re e Medea: sulle pagine di Robinson, proprio dal set di Medea, troverete alcuni splendidi scatti inediti.

E ancora: Piergiorgio Paterlini ripercorre la sua giovinezza e la vita da maestro in Friuli, Dante Ferretti, intervistato da Arianna Finos, ricorda gli esordi della sua carriera di scenografo dei suoi film, mentre è Alberto Anile a dare le coordinate della sua opera cinematografica. Angelo Guglielmi, che da critico ha avuto un rapporto più che dialettico con lo scrittore di Casarsa, ne parla con Simonetta Fiori. Nello Strapalando, invece, Antonio Gnoli colloquia con Furio Colombo, che fu l’ultimo a intervistare Pasolini prima della morte.

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