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Il riscaldamento globale fa aumentare gli attacchi di asma e le allergie

C'è un buon motivo in più per lottare contro il riscaldamento globale. E quel motivo lo hanno tutte le persone che soffrono di allergie stagionali. In molti lo avranno notato a proprie spese, ma ora a confermarlo ci sono i dati appena pubblicati su Pnas (i Proceedings of the National Academy of Sciences): rispetto agli anni Novanta il periodo dell'impollinazione inizia 20 giorni prima, dura 10 giorni in più e soprattutto i pollini sono il 21% in più.

Un mutamento indiscutibilmente legato all'innalzamento delle temperature globali provocato dalle attività umane, secondo i ricercatori del Dipartimento di Biologia dell'Università dello Utah guidati da William Anderegg: "La correlazione che abbiamo trovato è un esempio cristallino di come l'emergenza climatica stia già avendo conseguenze dirette sulle persone", ha commentato lo scienziato.

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Già nel 2010 in realtà l'Asthma and Allergy Foundation of America e la National Wildlife Federation avevano stilato un rapporto sull'impatto del cambiamento climatico sugli americani con asma e allergie, prevedendo che il riscaldamento avrebbe influenzato la diffusione di polline, muffe ed edera velenosa, accrescendo i rischi di attacchi di asma e allergie. Il cambiamento climatico può anche peggiorare l'inquinamento atmosferico.

D'altra parte, che ci fosse un legame tra riscaldamento e aumento dei pollini era già emerso durante esperimenti realizzati in serra, ma quello dell'Università dello Utah è il primo studio su larga scala. I ricercatori hanno esaminato i monitoraggi effettuati e i campioni di polline raccolti tra il 1990 e il 2018 da 60 stazioni tra Stati Uniti e Canada gestiti dal National Allergy Bureau. Come detto, si è registrato un incremento complessivo del 21% su tutto il territorio nordamericano, anche se le notizie peggiori sono per chi soffre di allergie in Texas, lo stato Usa in cui i pollini sono aumentati di più dal 1990 a oggi. Gli stessi dati hanno anche mostrato che il periodo dell'impollinazione inizia mediamente 20 giorni prima e dura 10 giorni di più.

Ma come essere sicuri che tali variazioni siano riconducibili proprio al riscaldamento globale e non ad altri fenomeni? Anderegg e colleghi hanno usato metodi statistici per verificare le eventuali correlazioni esistenti tra l'andamento dei pollini e quello delle temperature. Correlazioni che effettivamente esistono, aldilà di ogni ragionevole dubbio, soprattutto per il periodo 2003-2018.

E in Italia? Gli studi condotti finora vanno nella stessa direzione: anche da noi le piante a fioritura primaverile ed estiva tendono a produrre più polline e per periodi più lunghi. Uno studio effettuato nell'arco di 33 anni nella zona di Perugia, ha dimostrato un anticipo progressivo del periodo pollinico raggiungendo un picco a fine maggio, invece che in piena estate.

E una ricerca sulla sensibilizzazione al polline di cipresso ha evidenziato un aumento dei pazienti sensibilizzati in centro Italia e, rispetto a vent'anni fa, un ritardo della produzione di polline, da febbraio a marzo, con un prolungamento della stagione di fioritura fino alla primavera. L'olivo invece è stato analizzato in diverse regioni italiane, osservando un progressivo incremento di polline nell'atmosfera, in un periodo che ormai va da aprile alla fine di giugno.

Che alla base ci fosse l'innalzamento delle temperature registrato negli ultimi decenni era plausibile. Ora il vasto studio della Università dello Utah, condotto su dati raccolti in tutto il Nordamerica, lo conferma.

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