ROMA – Leonardo Becchetti, professore di Economia Politica all'Università di Roma Tor Vergata, è tra i firmatari dell'appello lanciato da oltre 100 economisti, tra cui Thomas Piketty, per la cancellazione da parte della Banca Centrale Europea del debito pubblico che gli Stati europei sono stati costretti a contrarre a causa della pandemia. In mano alla Bce c'è circa un quarto di questo debito, una cifra corrispondente a 2500 miliardi di euro.
Professore la proposta della cancellazione della quota del debito dei Paesi europei detenuta dalla Bce è stata avanzata negli ultimi tempi a più riprese dal presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, dalla vostra petizione, eppure la risposta è sempre la stessa: è impossibile, è illegale. Una obiezione di cui non avete non potuto tener conto quando avete lanciato la vostra proposta.
"Le Banche Centrali di Stati Uniti, UE, Regno Unito e Giappone hanno fatto in questi ultimi anni cose impensabili fino a qualche anno prima e assolutamente non convenzionali. Lo hanno fatto perché hanno interpretato bene il loro ruolo alla luce delle novità dei tempi. Il nostro compito di economisti è quello di pensare soluzioni nuove a problemi nuovi e stimolare il dibattito nel rispetto dei ruoli. Si parlava di quantitative easing molto prima che la BCE potesse vararlo. E come sappiamo la BCE non ha potuto vararlo finchè non c'è stata una maggioranza favorevole all'interno. Semplificare il dibattito e l'appello dei giorni scorsi attorno alla questione della "cancellazione" del debito è riduttivo. Si tratta in realtà di un dibattito sulle potenzialità di azione delle Banche Centrali. Nel working paper con il collega Pasquale Scaramozzino parliamo di sette diverse opzioni con le quali la Banca Centrale può aumentare il suo attivismo. E anche nell'appello si parla di una seconda opzione di fatto equivalente quella della trasformazione dei titoli detenuti dalla BCE in titoli irredimibili a tasso zero. Non dimentichiamo neanche che di fatto oggi quel debito è "congelato" se non cancellato. La BCE riacquista i titoli a scadenza e retrocede i guadagni da interesse agli stati nazionali. Una questione aperta dunque è capire se questa politica è temporanea o strutturale, se sarà mantenuta nell'attuale dimensione o crescerà in termini quantitativi. Non c'è un interruttore acceso/spento per cui si decide di cancellare o no il debito ma c'è piuttosto un continuum di opzioni su sui si sta riflettendo tra gli economisti (che parlano oggi di salto di paradigma fiscale consapevoli che il contesto è cambiato) e le istituzioni".
dalla nostra corrispondente
Anais Ginori
Ma allora se non c'è neanche bisogno di cambiare il Trattato Ue, a differenza di quanto ha appena sostenuto Christine Lagarde, secondo lei qual è il vero ostacolo?
"Christine Lagarde interpreta correttamente il suo ruolo e noi il nostro. Noi animiamo il dibattito offrendo nuovi stimoli, la BCE decide volta per volta quanto avanzare nelle politiche non convenzionali. E non possiamo che ringraziare la BCE per quello che ha fatto sinora. Ma questo non vuol dire che non si debbano segnalare e discutere opportunità ulteriori di azione. Ricordo l'appello dei 340 economisti lanciato con alcuni colleghi il 22 ottobre del 2014 in Italia per stimolare la BCE ad avviare il quantitative easing. Cosa che poi regolarmente avvenne poco dopo. In quell'appello indicammo anche come ulteriore proposta il cosiddetto piano Wyplosz, ovvero l'acquisto da parte della BCE di una quota rilevante di titoli dei paesi membri per trasformarlo in titoli irredimibili a tasso zero. Allora sembrava fantascienza ma anche la prima parte di quel piano oggi è realizzata. L’ultimo appello di fatto parla della seconda parte".
La vostra petizione è stata sottoscritta da un gran numero di economisti francesi, seguiti da un numero consistente di italiani e spagnoli, pochissimi tedeschi (7!), pochi tra belga e lussemburghesi, pochissimi di altri Paesi, comunque non si arriva a 10 Paesi. E se fosse questo il vero ostacolo? Non c'è un consenso "universale", probabilmente diversi Paesi considererebbero la cancellazione del debito un'ingiustizia a favore di chi ha speso "allegramente".
"E' un errore pensare che i paesi membri dell'UE non siano tutti interdipendenti e collegati tra di loro. Se alcuni problemi dell'Unione soffrono questo diventa un problema per tutti, anche per i paesi frugali. Anche prima del varo di Next Generation EU si diceva che non sarebbe mai partito perché sbilanciato verso i Paesi del Sud. L'Unione Europea con la tragedia del COVID-19 sembra aver appreso la lezione e la politica di emissioni europee sui mercati finanziari appena avviata apre potenzialità prima inimmaginabili. Più cooperazione (e anche più aiuto a chi ha bisogno) genera benefici per tutti. Assolutamente giusto però stabilire condizioni. I Paesi più in difficoltà devono dimostrare di spendere bene le risorse a disposizione. Personalmente ho dedicato tutti gli ultimi tempi del mio lavoro di ricerca e nelle istituzioni per capire quali sono i migliori investimenti e progetti per creare "debito buono" come dice Mario Draghi, ovvero veicolare le risorse verso quelle iniziative che creano più valore economico e lavoro superando i limiti strutturali del nostro Paese"-
Voi motivate l'esigenza della cancellazione con l'emergenza Covid. Ma se la vostra proposta alla fine venisse accolta, come si farebbe a distinguere il debito Covid dal debito dovuto a tutt'altre ragioni (caso italiano, debito che ben prima del Covid aveva ampiamente superato il 100% del Pil…)
"Col COVID-19 abbiamo chiesto ai giovani un sacrificio enorme (un anno della loro vita sociale) per ridurre i rischi sanitari molto più elevati dei loro padri e dei loro nonni. Sarebbe bello trovare il modo di evitare l'ulteriore danno di un fardello debitorio molto più pesante negli anni a venire. Possiamo calcolare l'impatto del debito aggiuntivo generato dalle spese necessarie per far fronte alla pandemia in ciascun paese. Ed intervenire per quella quota o per un quota simile. Non è necessario che l'aiuto sia maggiore in proporzione al PIL per i paesi del Sud rispetto a quelli del Nord".
Ogni volta che si parla di cancellazione del debito, anche per i Paesi poveri, si sollevano polemiche feroci. Ci sono precedenti di successo, che possono dimostrarci che si tratti di una mossa giusta nel nostro caso?
"Nel nostro working paper indichiamo come nel secolo scorso ci siano stati 48 episodi di cancellazione parziale di debito. Alcuni di questi riguardavano paesi come il Regno Unito e la Germania tra le due guerre, quindi non solo in paesi in via di sviluppo o emergenti. Il lavoro di ricerca di Reinhart e Trebesc dimostra con un'analisi econometrica accurata che mediamente l'effetto è stato quello di aumentare la crescita, ridurre ovviamente il servizio del debito senza peggiorare il rating creditizio dei Paesi".
Ci descrive meglio il vostro piano? A che obblighi sarebbe soggetto chi si avvantaggia della cancellazione? E quali sarebbero le conseguenze e i vantaggi anche per gli altri Paesi Ue, quelli che non usufruirebbero o usufruirebbero in misura molto limitata di questo provvedimento?
"Gli effetti del maggiore interventismo della BCE cambiano a seconda di quale delle sette opzioni che proponiamo si realizza. Quanto al beneficio dei diversi Paesi siamo i principali partner commerciali gli uni degli altri. Più prosperità in tutta l'Unione Europea migliorerà la situazione di tutti. La questione degli obblighi dei beneficiari è un punto molto importante. Bisogna evitare quello che in letteratura si chiama moral hazard o rischio morale. Ovvero la possibilità che una decisione di questo tipo favorisca in futuro uno spreco di risorse. Possiamo invece avere il meglio dei due mondi. Meno debito condizionato a criteri rigorosi nell'allocazione della spesa. Di fatto è quello che accade per Next Generation EU dove le risorse sono assegnate solo se si rispettano alcune regole sulle caratteristiche degli investimenti e sulla tabella di marcia nella spesa e nella rendicontazione dei fondi. Potrebbe essere così anche in questo caso".
Dalla presidente Lagarde è arrivato un netto no. Secondo lei, considerata la sua politica monetaria, da Draghi presidente sarebbe arrivata una risposta diversa? Ci sono delle chance che Draghi premier possa farsi portavoce di questa proposta con la Lagarde, se avesse l'opportunità di parlarci cosa gli direbbe sul perché dovrebbe farlo?
"Ripeto che rispondendo in questo modo la Lagarde ha fatto correttamente il suo lavoro. Lo stesso avrebbe fatto Draghi se si fosse trovato ancora in quel ruolo. Ogni dichiarazione di un banchiere centrale ha effetti enormi su aspettative e mercati. E quindi gli annunci ci sono solo quando una decisione è presa e si pensa sia importante comunicarla orientando le aspettative (così fu per il "whatever it takes"). Il dibattito sull'attivismo delle banche centrali e su quello che la BCE potrà fare nei prossimi anni è in corso dentro e fuori le istituzioni. Noi giochiamo la nostra parte come economisti e studiosi del tema provando a spostare avanti la frontiera ed indicando nuove vie che le istituzioni possono o non possono seguire nella loro indipendenza e autonomia di scelta".
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