Cravero La storia di Alessandra è iniziata quando un anno fa ha chiesto aiuto per suo figlio, un sedicenne gravemente autistico, pregando di inserirlo in un centro diurno a tempo pieno. E se oggi ha dovuto mettersi in aspettativa non retribuita dal lavoro per seguire Edoardo, è evidente che qualcosa non ha funzionato. In mezzo un anno di traversie, complice anche la pandemia, che l'hanno stremata. Ma quando è arrivata sull'orlo della disperazione, anziché gettare la spugna, è partita al contrattacco, si è rivolta all'associazione Utim e ha citato in giudizio la Asl To5 sostenendo che "è un diritto indifferibile previsto dai Lea che qualcuno si occupi di mio figlio " , dice nel giorno dei "calzini spaiati" per sensibilizzare sulla diversità.
In tribunale ci sono state già due udienze in cui il suo avvocato, Mario Motta, e i legali dell'Asl hanno cercato una soluzione, ma due giorni fa si è verificato un episodio che l'ha fatta sbottare: " L'unica soluzione chesembrava praticabile era di far ricoverare mio figlio in una comunità – racconta – Era l'ultima cosa che volevo ma non sapevo più come fare e ho detto di sì. Immaginate cosa vuol dire pensare al distacco dal proprio figlio, prepararlo ad affrontare una vita nuova, andare a visitare con lui la nuova struttura per avviare l'inserimento, piangere tutte le proprie lacrime per una soluzione non chiesta e non desiderata ma l'unica possibile ". Lei aveva fatto tutti questi passi. "Edoardo avrebbe dovuto entrare lunedì – spiega – invece due giorni fa mi sono sentita dire " Ci siamo sbagliati, quella struttura non va bene per Edoardo" " . " Solo pochi giorni prima dell'ingresso la struttura non è risultata in possesso del titolo autorizzativo per i minorenni – si difende l'Asl To5 – Ma i nostri operatori stanno valutando con la commissione di vigilanza soluzioni alternative migliori. La situazione è seguita da molti anni dai servizi sociali e sanitari con una continua rimodulazione degli interventi sulla base delle esigenze ".
Psicologa, assistente in una scuola d'infanzia, separata, Alessandra un anno fa si era resa conto che il figlio stava peggiorando e da sola non ce la faceva. In quel periodo il figlio era affidato ai nonni e dormiva da loro alcuni giorni alla settimana, cosa che le permetteva di lavorare part time, alternando turni al mattino e al pomeriggio. "A febbraio avevo chiesto che Edoardo venisse inserito in un centro diurno a tempo pieno, 8 ore, ma non mi è stato mai risposto " , racconta. Poi i centri hanno chiuso per il lockdown – "Mi avevano offerto 4 ore alla settimana di assistenza a casa, che è nulla" – e hanno riaperto solo a mezzo servizio, " ma tre pomeriggi a settimana non erano sufficienti per lui". Soprattutto perché alle superiori sono state sì garantite le lezioni in presenza per i disabili, ma solo tre ore al giorno, invece di cinque. Inoltre la pandemia ha chiuso piscina e campo da calcio in cui di pomeriggio Edoardo poteva sfogarsi, " e ora fino alle due di notte è agitato. Anche i nonni non ce l'hanno più fatta e non si sono dati più disponibili all'affido. Risultato? Dopo aver finito ferie e permessi mi sono dovuta mettere in aspettativa. Malvolentieri, avrei anche accettato di portarlo in una comunità, ma anche quella è sfumata. Ora non ce la facciamo più".
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