Guardando distrattamente le classifiche è facile pensare che l'epoca che nell'epoca stiamo vivendo la musica pensi se stessa solo come intrattenimento. In gran parte è vero, ma ci sono occasioni in cui la regola viene sovvertita e la realtà, la politica, la società, tornano ad essere il cuore di un album pop. E' questo il caso di The Future Bites, l'ultimo album di Steven Wilson, uno dei principi della musica britannica di questi anni, artista geniale, innovativo, sempre originale. Per i fan del progressive è considerato una sorta di custode di quella tradizione: dopo l'esperienza con i Porcupine Tree, ha curato i remix delle ristampe dei dischi di King Crimson, Emerson Lake & Palmer, Jethro Tull e tanti altri.
Il suo nuovo album, racconta, " riflette le mie paranoie sul mondo che viviamo, sull'idea che abbiamo di noi stessi, sul fatto che la nostra identità sia cambiata, perché è arrivata internet, perché interagiamo con i social media. Un tempo eravamo curiosi di guardare le stelle, adesso passiamo il tempo guardando i like. Francamente io stesso lo faccio e so che questo mi ha reso narcisista, più concentrato su me stesso, ma è decisamente più vero per i più giovani, una generazione che si riflette nello specchio dei media. Questa rivoluzione è avvenuta in un tempo relativamente breve, gli ultimi venti anni, anche meno, è qualcosa che stiamo vivendo e nessuno comprende esattamente quali saranno gli effetti a lungo termine. Di certo è cambiato il nostro rapporto con le notizie, con la politica, con la musica, con la pornografia, con tutto. Volevo parlare di tutto questo e l'ho fatto. E se si aggiunge che questo disco è stato realizzato prima della pandemia….".
In The Future Bites Wilson parla del populismo, del consumismo, della tecnologia, dei rapporti umani, ma l'album non è animato da rabbia o sostenuto da slogan, il musicista inglese sembra vestire piuttosto i panni del reporter che prova a fotografare il mondo di oggi, vedendolo ovviamente attraverso le sue lenti, dando una sua visione. E tra ironia e amarezza, il quadro generale non è dei più lieti: "Non voglio dare l'idea che sia un'album di un vecchio arrabbiato, c'è humor, magari alle volte un po' nero, ma è anche difficile trovare motivi di buon umore di questi tempi, tra i Covid, la Brexit, Trump…ah no, in quel caso un po' di buonumore è tornato. Sì, ho toccato temi problematici nelle canzoni, ma penso che in fondo a tutto ci sia un buon sentimento di speranza, credo che parlare dei problemi sia un modo per avviarsi verso una soluzione. E poi sono tutt'altro che pessimista. Io vero, ad esempio, sono stato vegetariano, ora sono vegano e lo sono diventato nonostante quando fossi teenager la parola vegetariano non credo di averla mai ascoltata. Ora le mie figlie lo sono diventate per loro scelta, perché hanno dei 'role model' che seguono, come Emma Watson o Billie Eilish, che con i loro gesti ispirano le nuove generazioni".
E l'amore dov'è finito? "C'è ancora tanto amore nelle mie canzoni, sia in maniera diretta che indiretta. Personal shopper, ad esempio, è una lettera d'amore verso lo shopping", risponde scherzando. Personal shopper è una critica al consumismo odierno, accompagnata da un video particolarmente forte, magistralmente diretto da Lucrecia Taormina e sostenuta da un'ospite d'eccezione, Sir Elton John, che nel brano veste i panni del narratore, elencando una lunga serie di'oggetti del desiderio del consumismo odierno. Ed è uno dei brani più significativi dell'album anche in termini musicali, una sorta di elettrodance contemporanea in cui l'equilibrio tra qualità e godibilità, tra ricerca e semplicità, è al meglio.
Equilibrio che è al centro della ricerca musicale di Wilson oggi: "Ho sempre dato spazio a molta sperimentazione, per trovare il bilanciamento giusto tra l'accessibilità, la sensibilità pop, e la sofisticazione, la complessità, la stratificazione del suono. Ci sono stati periodi non cui ha avuto maggior peso una cosa o un'altra, in questo caso, per la prima volta, posso dire di aver ottenuto davvero il perfetto equilibrio, raggiungendo il massimo della accessibilità senza sacrificare alcuna sofisticazione. Ho seguito grandi esempi in questo campo, citerei i Beatles, i Pink Floyd, tutto quello che hanno fatto trascendeva il semplice pop, portava l'arte a un audience molto più ampia. Come i Beach Boys, sofisticati, intelligenti, con arrangiamenti e produzione anche estremamente complesse, come Bowie negli anni Settanta. Ovvio che io non mi paragono a nessuno di loro, ma è quello il punto di bilanciamento che ho cercato di trovare. Ed è fondamentale trovarlo specialmente ora, perché non c'è più l'ascolto di un album, ha vinto la mentalità della playlist, ognuno sente le canzoni che vuole portandole fuori contesto. Io amo l'idea dell'album e so che oggi potrebbe sembrare un'anacronismo, ma credo anche che se si smettesse di pensare alla musica in questo modo sarebbe un male".
L'album è tra le cose migliori uscite in queste settimane, un lavoro bello e ricco, godibile e moderno, profondo e coinvolgente, perfettamente pop: "Ho cinquant'anni, sono nella musica da 30", conclude Wilson, "e posso ancora dire che sto migliorando, che faccio dischi più vicini al mio album ideale. Non è sempre così, molto spesso i musicisti fanno i loro album migliori attorno ai vent'anni e passano il resto della loro carriera cercando di ricatturare quel feeling. Io invece penso che i dischi che ho fatto quando avevo venti anni fossero terribili e che sono ancora in grado di migliorare. Quindi credo che questo sia il miglior disco che io abbia mai realizzato, sono molto contento del risultato".
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