MILANO — Prende corpo l’ipotesi di un prestito subordinato del Monte dei Paschi da 500 milioni di euro, per rimpolpare almeno in parte il capitale entro febbraio e consentire la “continuità aziendale” malgrado la forte perdita dei conti 2020, che il mercato stima in 1,5 miliardi.
In attesa di capire se e come il varo del nuovo governo guidato da Mario Draghi acceleri la strategia di vendita cercata dall’azionista di maggioranza (il Tesoro, al 64%), Mps prova con una soluzione tampone a schivare il prossimo scoglio, piuttosto vicino. Ci sono 20 giorni per rafforzare il capitale della banca senese di almeno 300 milioni, senza i quali i revisori contabili di Pwc difficilmente sarebbero in grado di certificare la continuità aziendale, incerta da settembre e che diventerà pericolante dopo che i conti 2020 saranno approvati.
Mps, ecco il piano per ridurre il rischio dei rimborsi miliardari
di
Andrea Greco
La banca ha già comunicato, da metà dicembre, che nel primo trimestre 2021 si produrrà un deficit nel patrimonio di vigilanza, «per 300 milioni»; e che i milioni mancanti diventeranno 1.500 entro fine 2021. Per ovviare allo sbilancio Mps ha reso noto, settimana scorsa, il piano di rafforzamento da 2,5 miliardi: limitandosi a dire che «il perfezionamento è ipotizzabile nel terzo trimestre 2021».
Ma serve una rata anticipata di capitale per consentire alle perdite 2020 di non intaccare la continuità dell’azienda come la intende la normativa. Per questo da settimane le interlocuzioni con i consulenti finanziari Mediobanca e Credit Suisse sono in corso, e secondo indiscrezioni attendibili ci sarebbero impegni formali, di investitori istituzionali e banche d’affari, a sottoscrivere l’emissione dei titoli subordinati necessari.
L’annuncio è atteso al più tardi entro il cda Mps del 25 febbraio, in agenda per «l’esame del progetto di bilancio»; ma se ne potrebbe parlare il 9 febbraio, quando il cda si riunirà per «approvare i conti» dell’anno chiuso.
Con i conti approvati e — soprattutto — con gli impegni dei futuri sottoscrittori sul tavolo, il colosso della revisione Pwc non dovrebbe avere problemi a dare parere positivo al bilancio. Per la normativa italiana il nulla osta deve arrivare 21 giorni prima dell’assemblea ordinaria. In questo caso il termine è quindi il 15 marzo, tre settimane prima dell’adunanza dei soci Mps, convocati in data unica il 6 aprile. Il nuovo bond, che servirebbe anche a formare il cuscinetto a strati detto “Mrel” e richiesto dalla vigilanza, avrebbe lo svantaggio di una cedola salata, che potrebbe superare l’8% annuo.
Ma i tempi molto stretti la rendono un’opzione favorita rispetto a quell’aumento di capitale che il Tesoro intende realizzare solo a fronte della contestuale aggregazione.
Anche la vigilanza e la Commissione Ue — con cui Mps sta negoziando ogni passo essendo dal 2017 sotto aiuto di Stato — preferirebbero subito una “ricapitalizzazione con fusione”: ma tre settimane dopo l’apertura della data room nessuno si è fatto avanti, e difficilmente ciò accadrà entro marzo, con il governo in fieri e l’Unicredit sola candidata che non vedrà il nuovo ad Andrea Orcel fino al 15 aprile.
Da allora, se saranno rose fioriranno. Ieri Pier Carlo Padoan, presidente in pectore di Unicredit, intervistato da Repubblica ha ammesso che «lo scenario competitivo s’è completamente modificato» con l’operazione Intesa Sanpaolo-Ubi, e anche per questo l’acquisizione di Mps «è un’ipotesi che sarà valutata come tutte le altre, facendo i conti».
In Borsa l’azione senese è balzata del 7,22%, e Unicredit del 2,17% in un’altra seduta positiva per il settore. Proprio la congiuntura favorevole per l’Italia sui mercati legata all’arrivo di Draghi può favorire anche l’emissione di un bond rischioso da parte di una banca che non fa utili da anni e non ne farà per un pezzo
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