Nessun veto su Salvini, "non siamo nelle condizioni di porne, specie dopo l'appello a tutte le forze politiche lanciato dal capo dello Stato". Ma certo il probabile ingresso dei sovranisti nel governo, che costringerà il segretario del Pd a rimangiarsi l'ennesimo "giammai", sta creando gravi difficoltà al Nazareno. Alle prese con una duplice preoccupazione.
La prima legata alla compattezza e alla stabilità del futuro esecutivo: con una maggioranza poco omogenea e scarsamente coesa sarà complicato varare quelle riforme di cui il Paese ha assoluto bisogno. La seconda riguarda invece il partito che, specie al Nord, potrebbe non reggere il matrimonio forzato coi leghisti. D'altra parte messaggi che stanno arrivando in queste ore – dalla base in tumulto, dai circoli e dalle federazioni sparse per l'Italia – sono tutti dello stesso tenore: "Va bene Draghi, ma col Carroccio no, rischiamo di pagare un prezzo troppo alto".
Pur con le dovute cautele, Nicola Zingaretti lo ha fatto notare al presidente incaricato. Elencando le priorità programmatiche del Pd – dal forte ancoraggio europeista alla riforma del fisco in senso progressivo, dalla transizione ecologica alle politiche di genere – il segretario non ha potuto fare a meno di sottolineare il contrasto fra i principi democratici e le idee leghiste (dal nazionalismo alla flat tax). Che rischia di rendere la vita impossibile al Gabinetto Draghi. Perché se sulla gestione dell'emergenza sanitaria, e forse pure economica, un'intesa si può anche trovare, più arduo sarà individuare risposte univoche e coerenti alla crisi sociale e a tutta una serie di temi per loro natura divisivi. "Al primo sbarco sulle coste della Sicilia come si comporterà il Consiglio dei ministri? Chiuderà i porti o lavorerà sull'accoglienza?" si chiedono con ansia al Nazareno.
Siccome però è solo sui contenuti che si può dar battaglia, facendo capire all'ex capo della Bce che è nel suo interesse puntare su una coalizione meno larga ma più coesa, "nelle prossime ore invieremo al professor Draghi un documento contenente le nostre proposte per un governo forte e di lunga durata", precisa Zingaretti uscendo dalle consultazioni. Con un'avvertenza: senza una cornice solida in grado di dare stabilità al quadro, alla lunga rischia di venir giù l'intera impalcatura. "Nell'esperienza di governo dei mesi passati", spiega infatti il segretario dem, "l'Italia è stata protagonista della costruzione della nuova Europa, evitando il danno intollerabile e irreparabile che il nazionalismo avrebbe arrecato al Paese. Si tratta di un patrimonio da conservare. Insieme alla storica amicizia euro-atlantica, che potrà rafforzarsi dopo l'elezione del presidente Biden". Evidente il riferimento alle politiche di Salvini, inconciliabili – secondo Zingaretti – con quelle delle forze popolari, liberali e socialiste che due estati fa elessero Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Ue e ora potrebbero far nascere l'esecutivo Draghi, garantendogli una lunga navigazione. A patto però di lasciar fuori la Lega.
Il capogruppo dem alla Camera Graziano Delrio è piuttosto esplicito: "Non siamo nelle condizioni di porre veti a nessuno, questo non è un governo politico, ma siamo nelle condizioni di porre questioni di principio: se ci fosse un programma anti-europeista o con contenuti non coerenti con i nostri principi è chiaro che per noi sarebbe un problema, ma su questo Draghi è una delle garanzie migliori". Ancora più diretti i colleghi di Leu. "È evidente che una nostra firma sotto un programma in cui ci sia la flat tax non ci potrà mai essere. Senza una significativa omogeneità, qualsiasi governo rischia di avere vita breve", taglia corto Federico Fornaro. "L'alleanza Pd-M5S-Leu è basata su temi incompatibili con la presenza di forze sovraniste. Alcuni, come quello europeo, sono impossibili da condividere con la Lega", fa eco la senatrice De Petris.
Ora resta da capire cosa deciderà il presidente incaricato: se considererà un muro invalicabile il perimetro tracciato dai giallorossi o riuscirà a far cadere pure quello.
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