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Pisa, lo studio: dimmi cosa metti nel carrello della spesa e ti dirò se sta per arrivare il picco dell’influenza

Dimmi cosa metti nel carrello e ti dirò se sta per arrivare l'influenza. Che ci possa essere un rapporto tra ciò che mangiamo e i malanni di stagione è qualcosa di intuibile, ma lo studio internazionale condotto negli ultimi due anni dall'Università di Pisa insieme alla Northeastern university of Boston ha ottenuto un risultato che ha tutte le carte in regola per rivelarsi rivoluzionario: prevedere il picco dell'influenza con circa quattro settimane di anticipo, due in più rispetto ai modelli precedenti, con tutto quel che ne consegue in termini di possibilità per il sistema sanitario di organizzarsi e prevenire così lo stress da forte afflusso.

Com'è stato possibile? Osservando qualcosa come trenta milioni di spese al supermercato effettuate dal 2010 al 2015 a Livorno e provincia presso i negozi di Unicoop Tirreno, che ha collaborato alla ricerca coordinata dal professor Dino Pedreschi – docente di computer science all'Università di Pisa e condirettore del Kdd Lab – sotto il grande cappello di SoBigData, il progetto europeo per la data science che vede Pisa al centro di una grande rete internazionale di studiosi. "Due anni fa l'idea era per così dire "di nicchia", oggi appare a tutti una questione fondamentale: come possiamo fornire strumenti di orientamento al sistema sanitario per prevedere i momenti di massimo stress causati dell'influenza di stagione?" racconta Pedreschi a proposito dello studio, partito in seno al Kdd Lab e poi allargato a Università e Isti-Cnr.

"Abbiamo analizzato i dati dei consumi, ovviamente nel pieno rispetto della privacy. Dati anonimi, ma ricchi di informazioni perché ci hanno permesso di capire cosa le gente mette nel carrello e cogliere così i trend dei prodotti più venduti nel periodo dell'influenza". Lo studio, che è stato da poco pubblicato con il titolo "Predicting seasonal influenza using supermarket retail records" con la prima firma di Ioanna Miliou, ricercatrice all'Università di Pisa, "ha fatto emergere come non siano tanto i singoli prodotti a fare da sentinella sull'arrivo del picco, ma i carrelli, cioè i cambiamenti di comportamento negli acquisti e in particolare l'associazione di alcuni prodotti: improvvisamente alcuni gruppi di prodotti fanno un salto, e vediamo comparire più spesso cavolo, agrumi e proteine in generale. L'aumento di questo tipo di carrello messo insieme all'andamento dei casi fa aumentare la previsione del picco".

Del resto in scienza si sa che se si lasciano parlare i dati si fanno scoperte sorprendenti; "pensiamo a Google flu trend, il modello di Google che controllava le ricerche degli utenti in base a termini prefissati legati all'influenza: è stato dismesso perché sbagliava clamorosamente. Se ci fossimo messi a cercare prodotti che secondo noi sono sentinelle, saremmo stati vittima di un bias, un pregiudizio: bisogna osservare quello che la gente fa, non quello che ci aspettiamo che faccia". Fondamentale è la mole dei dati a disposizione, spiega Pedreschi, "funziona come per le previsioni del tempo: dieci anni fa le previsioni erano azzeccate per il giorno dopo, due al massimo. Oggi siamo arrivati abbondantemente a una settimana, e non perché siano cambiati i sistemi previsionali, ma perché abbiamo molti più dati e pattern a disposizione per spingere un po' più in là la previsione. Per l'influenza è la stessa cosa. Se avremo la collaborazione della grande distribuzione su scala nazionale potremo attivare il servizio di allerta con gli ospedali di tutta Italia".

L'algoritmo dell'Università di Pisa non è mai stato applicato ma è stato verificato più volte e "il modello è solido, ovviamente in assenza di variabili impazzite come il Covid". Lo studio mette in pratica due grandi lezioni arrivate con la pandemia, anche se è stato avviato molto prima: "primo, dobbiamo essere in grado di prevedere, e secondo, se non si condividono i dati non si va da nessuna parte" conclude Pedreschi che coordina anche il gruppo di lavoro "Big data & AI for policy" della task force data-driven per l'emergenza Covid-19 istituita dal ministero per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione: "il motivo per cui abbiamo avuto un vaccino presto rispetto allo standard è perché i ricercatori di tutto il mondo hanno condiviso i dati sul genoma del virus. Invece gli ospedali d'Italia, e di tutto il mondo, non sono organizzati per condividere dati in modo tempestivo. E questo deve cambiare".

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