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“Non volevo un altro Falcone: ecco perché signor giudice mi sono pentito”

Aveva un incarico preciso, Ignazio Zito, 63 anni e una vita trascorsa a metà, tra la mafia e la giustizia: lui doveva trasportare bombe a mano. Ordigni che sarebbero serviti ad uccidere una " persona importante " , uno "sotto scorta", uno "che dava fastidio " . Perché così avevano deciso Cosa Nostra e la ' ndrangheta insieme, unite in un patto scellerato. Un ordine impartito in Piemonte. Ma lui ha avuto paura di quell'attentato. Non voleva accadesse " un altro Falcone". E così ha deciso di parlare. Al processo Carminius, lo stesso che si sta celebrando in un'unica tranche con "Fenice" che ha tra gli imputati anche l'ex assessore regionale Roberto Rosso per voto di scambio, Zito ieri è comparso collegato dal luogo protetto in cui si trova, come testimone, e ha raccontato al collegio di giudici presieduto da Alberto Giannone, dell'attentato e di quel ruolo cruciale che gli era stato affidato, da cui ha voluto sottrarsi.

L'ex assessore regionale Roberto Rosso

Zito ha anche parlato di un "gruppo di amici che cercava di raccogliere voti a Carmagnola per far eleggere nel 2016 la sindaca " di adesso" " . Una testimonianza che viene vagliata con grande cautela: Ivana Gaveglio non è in alcun modo interessata dal processo, e anzi il comune è costituito parte civile nel procedimento. Il collaboratore aveva fatto parte di Cosa Nostra fino al 1996, poi si era pentito, e, terminato il periodo di protezione, aveva cercato di rifarsi una vita. Ma non c'era riuscito e così era tornato a disposizione della criminalità organizzata, questa volta in un territorio dominato dalla 'Ndrangheta, a Carmagnola.

"Ho iniziato a collaborare quando ero andato a prendere delle bombe che erano arrivate dalla Calabria ha spiegato – non mi è piaciuto che Cosa Nostra e la ' Ndrangheta volessero fare un attentato a una persona importante, una personalità, che di certo camminava con la scorta " . Non è la prima volta che Zito racconta questa storia, già un anno fa, in un altro processo aveva reso le stesse dichiarazioni. " Mi sono detto: non bastava tutto quello che era capitato in Sicilia con il giudice Falcone e allora questo mondo non mi è piaciuto più". Così ha deciso di parlare. "Ho chiamato la procura a gennaio 2018 mentre ero detenuto per altra causa nel carcere di Ivrea " . Il suo ruolo era trasportare armi e droga. "In passato avevo già beneficiato del programma di protezione, avevo iniziato a fine anni Novanta e mi era stato revocato nel 2014 – ha spiegato – In quell'anno sono arrivato a Carmagnola e grazie a mio genero che è ' ndranghetista ho conosciuto Cosa Nostra e Ndrangheta che comandano in quella zona".

Un incrocio strano di cosche, a Carmagnola. Ai vertici di Cosa Nostra, lì, ci sarebbero i fratelli Francesco e Filippo Messina. Mentre, per la 'ndrangheta, secondo l'accusa, la cosca Bonavota, attraverso i fratelli Francesco e Salvatore Arona.

Zito, nelle sue collaborazioni, avrebbe raccontato di come le due diverse organizzazioni, quella siciliana e quella calabrese, si sarebbero accordate nel tempo, per non pestarsi i piedi. E anche per eliminare chi ritenevano desse fastidio. Aveva anche raccontato del pizzo pagato da molti commercianti. Tra questi anche da Gianluigi Lentini, ex calciatore del Toro e del Milan, per il suo ristorante. Ascoltato come testimone il 29 gennaio, aveva negato di aver versato soldi. Secondo i pm, sarebbe stato vittima di un'estorsione, avrebbe dato 100 mila euro ad Alessandro Longo, arrestato con l'accusa di essere affiliato, ma Lentini ha spiegato: era "soltanto un prestito".

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