È un trio davvero particolare quello formato da Mace, Blanco e Salmo, che propongono La canzone nostra, singolo che ha anticipato l’uscita di un nuovo album intitolato Obe, acronimo di Out of Body Experience. A firmarlo è, in realtà, solo uno dei tre, Mace, producer tra i più originali e importanti della nuova scena italiana. Simone Benussi, questo il suo vero nome, è attivo dall’inizio degli anni duemila e nella sua lunga carriera ha firmato grandi successi, come Ho Paura di Uscire 2 di Salmo, Pamplona di Fabri Fibra, Chic di Izi e l’intero album DNA di Ghali (anch’esso certificato platino).
Un’avventura musicale iniziata con un amico con il quale ha messo su la prima “ditta” rap, La Creme: "Ho iniziato da appassionato, come tanti”, ci racconta, "ascoltavo da piccolissimo la musica classica dei miei genitori, poi comunque molta più musica dei miei compagni di classe, ma non mi interessava suonare, non ci pensavo, c’era bisogno di studiare uno strumento e io non avevo pazienza. Poi è arrivato il rap per me e per tanti altri adolescenti della mia città, a Pioltello. Tutti si sono messi a rappare e fare free style e io ho scoperto il campionatore e il computer. Con questi strumenti saper suonare era inutile e così, mentre i miei amici cantavano, ho iniziato a produrre basi. Ho fatto una colletta per comprare un campionatore di seconda mano e ho iniziato a casa a tentoni".
Mace ha percorso per intero la strada del rap italiano, dall’underground fino alla conquista della scena, dall’analogico al digitale, dalle cassette a Internet, e pian piano è diventato sempre più padrone del linguaggio, trovando un suo stile personale. “In realtà quando ho iniziato a far musica non avrei mai immaginato che ne avrei fatto un lavoro”, dice, "il mainstream non mi interessava, mi piacevano Dalla, Battisti o Battiato certo, ma il pop contemporaneo lo odiavo, fare musica in Italia per me voleva dire solo fare hip hop. Ho allargato i miei interessi alla musica elettronica e quindi nel 2007 ho fondato il collettivo Reset, e ho iniziato a fare tour in Australia, Giappone, suonavamo a Ibiza e la musica l’ascoltava gente di tutto il mondo. Ho proiettato le mie energie verso l’estero perché in Italia, a parte il rap dal quale volevo prendere un pausa, non c’erano cose interessanti. Quindi, da quattro o cinque anni, le cose sono cambiate anche qui, nuove generazioni di artisti hanno iniziato a fare nuove cose e poi sono arrivate le piattaforme streaming. Non erano più solo ragazzini che facevano la musica, ma il mercato vero".
La Canzone Nostra, singolo a suo nome, è nato la scorsa estate, come brano ambient, ascoltando Hiroshi Yoshimura, compositore giapponese degli anni ’80, “poi un mese dopo ho scoperto per la prima volta Blanco, l’ho invitato in studio e abbiamo provato a registrare su quella base, molto diversa dal suo animo punk. Il primo giorno abbiamo scritto l’ossatura del pezzo, poi abbiamo realizzato le chitarre con Venerus, quindi l’ho fatto sentire a Salmo, gli ho chiesto di fare qualcosa e il giorno dopo aveva già realizzato la sua cosa. Per fortuna abbiamo potuto lavorare in un periodo in cui potevamo incontrarci di persona. Non riesco a gioire nel far musica a distanza, l’energia che si crea quando si lavora è incomparabile”.
Blanco e Salmo sono personalità molto diverse tra loro, “ma a me è sempre piaciuto esser un trait d’union tra persone diverse, anche nella vita privata”, dice Mace, "forse perché sono una persona curiosa, con tanti interessi diversi e questo mi permette di interfacciarmi e a trovare punti di contatto con tante persone. In questo caso mi sono potuto togliere lo sfizio di avere con me personalità che potevano collimare bene ma che nessuno si sarebbe aspettato di vedere insieme".
Ora arriva l’album e anche in questo caso le collaborazioni sono molte e diverse tra loro, come quelle di Venerus, Gemitaiz, Gué Pequeno, Noyz Narcos, Franco126, Colapesce, Side Baby, Ernia, Madame, Samurai Jay, DARRN, Ketama 126, Carl Brave, Joan Thiele, Psicologi, Rosa Chemical: "ll collante che tiene insieme i numerosi nomi presenti è sicuramente il loro talento”, dice Mace, “che si esprime in modi diversissimi e che, a mio parere, è molto evidente in tutti gli artisti coinvolti in ‘Obe’, sia tra i più affermati che tra gli emergenti. Un altro terreno comune che lega il disco è la mia visione: sono riuscito a individuare dei punti di contatto, invisibili ad un primo sguardo, tra le diverse sensibilità degli artisti. Questo è quello che succede quando si riescono a vedere le cose da un altro punto di vista: una diversa prospettiva in grado di scovare un trait d’union in questa moltitudine di voci, ciascuna con un personalissimo modo di essere intensa. Il concetto di genere in Obe perde significato: ci sono sonorità e riferimenti ricorrenti che rimandano a radici comuni, la black music e l’hip hop, che costituiscono l’ossatura del disco, ma c’è allo stesso tempo una grandissima libertà, che ha permesso agli ospiti dell’album di uscire dalla propria comfort zone ed esplorare".
Mace quindi non è un produttore "di genere", si muove con sapienza nel pop ma anche nell’avanguardia, mette a frutto tutte le sue molte esperienze, accumulate in anni di lavoro, di viaggi: "Non riesco a riassumere la mia musica in poche parole, sono un pentolone che ribolle di stimoli che ho sempre raccolto, viaggiando e ascoltando milioni di dischi". Il concept del disco, infatti è quello del "viaggio", fisico, spirituale, extracorporeo: "Nel corso della mia vita ho avuto la fortuna di visitare oltre 50 Paesi nel mondo. Viaggiare è ciò che mi ha definito come persona e, di riflesso, ha avuto un profondo impatto sulla maniera in cui faccio musica.
Obe, Out Of Body Experience, rappresenta bene quello che è il mio personale approccio al "viaggio", che per me è prima di tutto un’esperienza extra-corporea, l’occasione di eludere gli schemi della quotidianità e avere così la possibilità di vedere le cose da un’altra prospettiva. Questo è quello che mi succede quando viaggio, con il corpo e la mente, e questo "processo" è ciò che voglio celebrare con il disco".
Il tutto avendo come stella polare il lavoro di Brian Eno, “uno dei più grandi della storia, uno dei primissimi ha teorizzato la musica per non musicisti, che ha saputo destreggiarsi tra tanti linguaggi. Certo mi piacerebbe diventare così, magari ci riuscissi. Per ora mi piace vivere entrambe le esperienze, quella di producer per altri e quella di "artista" per mio conto. Anche se "artista" è un parolone, mi accontento di avere il controllo creativo completo della mia musica e la libertà di poter scegliere progetti che mi rappresentano. E non è neanche detto che il prossimo disco non sia completamente strumentale…".
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