Monoclonali efficaci non solo nella primissima fase del Covid. Arrivato il via libera dell'Aifa all'utilizzo dei particolari anticorpi, già utilizzati come terapia per chi viene colpito dal virus negli Usa, in Canada, Israele, Ungheria e Germania, dall'Istituto nazionale Lazzaro Spallanzani di Roma viene specificato che quegli stessi anticorpi sono stati sperimentati e hanno funzionato su pazienti immunodepressi che da settimane avevano febbre e non riuscivano a negativizzarsi.
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Un particolare che, se dovessero arrivare ulteriori conferme, porterebbe i monoclonali a non essere più soltanto un eccezionale strumento per frenare le ospedalizzazioni, ma un salvavita unico per chi rischia la vita da un momento all'altro, combattendo in un letto di ospedale contro il coronavirus, per i più fragili.
Dopo numerose resistenze e un contenzioso amministrativo, vista la pressione di numerosi scienziati e dello stesso consulente del ministro della salute Roberto Speranza, Walter Ricciardi, l'Agenzia italiana del farmaco ha dato l'ok ai monoclonali con una decretazione d'urgenza, come fatto nei mesi scorsi negli Stati Uniti dall'Fda, mancando ancora l'approvazione da parte dell'Ema, l'agenzia europea del farmaco. L'Aifa ha però dato il via libera soltanto per l'utilizzo di tali anticorpi al fine di bloccare il virus nella fase iniziale dell'infezione.
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Nei Paesi dove già stanno utilizzando i monoclonali, Usa in testa, e dove sono giunti alla terza fase della sperimentazione, è stato del resto provato che sono efficaci in via preventiva, dando una copertura di circa cinque mesi, e soprattutto se somministrati nelle prime 72 ore dalla comparsa dei sintomi nei positivi, evitando nel 70% dei casi le ospedalizzazioni e dunque di intasare le strutture sanitarie, eliminando quello che dall'inizio della pandemia è il grande incubo, fatto di ospedali al collasso e terapie intensive dove non si trova più un posto letto. Sempre l'Aifa, dando l'ok ai monoclonali di Regeneron ed Eli Lilly, lo ha dunque fatto per chi ha appena contratto il virus ed è un paziente ad alto rischio, che nel caso di ricovero rischia più di altri la vita.
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Dallo "Spallanzani", però, emerge che i monoclonali sono stati già utilizzati e sono risultati efficaci anche su pazienti che si trovavano in una fase avanzata della malattia. Si tratta in questo caso di immunodepressi, ad altissimo rischio, che non riuscivano a liberarsi dalla febbre e a negativizzarsi, ma che dopo l'infusione di tali anticorpi sono guariti. I casi sono quelli di una scrittrice romana e di un uomo, mentre altri tre pazienti in condizioni analoghe sono in terapia. Risultati definiti molto incoraggianti e interessanti dal direttore di Immunodeficienze virali dell'Istituto, Andrea Antinori, specificando che si tratta di pazienti con deficit di produzione di immunoglobuline. Una cura tentata allo "Spallanzani", dall'inizio della pandemia in prima linea contro il Covid, nell'ambito delle cure compassionevoli, chiedendo direttamente agli Usa i monoclonali, che dagli Stati Uniti sono stati spediti a Londra e da lì a Roma. E a confermare che la somministrazione di tali farmaci è stata compiuta su pazienti rimasti a lungo positivi e non dunque su chi manifesta i primi sintomi è stato anche il direttore di Malattie infettive dell'Istituto, Emanuele Nicastri.
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"Si tratta di utilizzo compassionevole per singoli malati, con gravi immunodepressioni. Persone che hanno dei deficit di produzione di immunoglobuline", ha spiegato Nicastri all'AdnKronos Salute. "Vi sono anche patologie in cui i pazienti possono avere una carenza di immunoglobuline. Per tutti questi pazienti, è molto difficile produrre anticorpi anche contro la Sars Cov 2. Per cui abbiamo persone che rimangono positive, con polmonite e anche con quadri impegnativi, a lungo. In questi casi, sulla base di pochissimi dati di letteratura, abbiamo utilizzato gli anticorpi monoclonali. Non stiamo parlando quindi di trial clinici registrativi per il loro uso".Original Article
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