Alcune hanno avuto tutti i sintomi del Covid, altre si sono sicuramente ammalate, ma nessuna l'ha detto al medico. Le prostitute, ai tempi del coronavirus non vanno a fare il tampone, per paura di essere identificate, sbattute fuori dalle case dove abitano, ricattate ancora di più. I soldi sempre meno, gli alloggi sempre più precari, per mangiare si mettono anche loro in coda alle mense dei poveri o ritirano il pacco alimentare in chiesa: nella pandemia la loro situazione di sfruttamento è diventata ancora più pesante. "Una trans è morta di coronavirus pochi mesi fa – racconta Nadia Folli, operatrice di Caritas Ambrosiana che ha fatto una ricerca sulle conseguenze del lockdown sulla tratta delle donne – e questo, tristemente, non ci ha stupito perché spesso le persone trans costrette a prostituirsi, essendo alla fame, non hanno mai smesso di farlo nemmeno nei momento più duri della prima e della seconda ondata. Fra tutte le vittime della tratta, quelle della comunità trans sono le più sfruttate e in difficoltà. Sono rimaste a disposizione dei clienti anche quando tutto era fermo ed era vietato uscire da casa. Noi andiamo a cercarle in strada, distribuiamo mascherine e gel igienizzanti, diciamo che la tutela della salute oggi passa da lì".
Nell'ultimo anno, l'unità di strada della Caritas, Avenida, ha fatto 48 uscite (la metà rispetto agli anni precedenti) incontrando 400 donne, ma le attività si svolgono molto anche online. Sono state 200 le chiamate durante il primo lockdown(circa 50 le persone seguite), circa 50 tra accompagnamenti sanitari e ai servizi. Il 15 per cento delle donne trovate in strada non era mai entrato prima in contatto col servizio, 37le donne accolte nel 2020 nelle case protette e nei centri di accoglienza per le vittime di tratta. "Il Coronavirus ha accelerato un processo che era in corso da tempo: la prostituzione si è ancora di più spostata dalla strada all'indoor e all'online, fenomeno che di per sé rende le vittime ancora più invisibili, difficilmente avvicinabili se non dai clienti e sfruttatori, e quindi più sole – osserva suor Claudia Biondi, responsabile dell'area tratta e prostituzione di Caritas Ambrosiana che in dieci anni ha seguito 8.500 donne a Milano e dintorni – . Ma è successa anche un'altra cosa. Una parte di loro, quella più povera e meno attrezzata, sfruttata da sedicenti "fidanzati", che operano in proprio o affiliati a micro gruppi criminali poco organizzati, non è riuscita ad adattarsi al cambiamento e oggi vive in condizioni di emarginazione ancora maggior che nel passato".
Il Covid, col blocco degli spostamenti fra Paesi, ha stravolto tutto, anche sulle strade, dove si trovano meno donne, sempre più straniere, anche molto giovani. Sono in calo le nigeriane (17%) perché sono in calo gli sbarchi, restano tante ragazze dell'Est, albanesi (21%) e soprattutto romene (53%). Le donne che non sono riuscite ad attraversare il Mediterraneo sono rimaste prigioniere nei campi di detenzione libici e lì, per sopravvivere e sperare di raccogliere i soldi sufficienti a continuare il viaggio, si devono offrire agli stessi carcerieri. Nel frattempo la mafia nigeriana, molto strutturata e capace di controllare insieme alla tratta anche il traffico di droga, ha riorganizzato i flussi, mandando le donne verso gli altri paesi subsahariani, in Niger, dove ci sono le miniere.
"Qui a Milano abbiamo ragazze molto giovani – racconta ancora Nadia Folli – Sto seguendo una romena di 22 anni, arrivata da pochi mesi, in autunno. Lei abita in una casa popolare occupata, è rimasta incinta, ha perso il bambino, non viene a fare le visite mediche, non riusciamo a tirare fuori la situazione di sfruttamento in cui si trova, non riesce ancora nemmeno a chiedere aiuto. Come molte altre è ancora più "incastrata" del solito, più indebitata: diventano tutte vittime del cliente che le ospita, e che poi pretende di essere pagato in prestazioni sessuali. Il racket deve farle lavorare, e se non rendono bene, come ci ha raccontato una ragazza rom che stava in un campo, vengono vendute da un gruppo all'altro. Una donna romena ci ha raccontato che è stata picchiata, che l'uomo che la ospitava ha tentato di violentarla. Alla fine è dovuta scappare, preferendo vivere sotto un ponte, prima di riuscire a tornare in patria. Noi le portavamo aiuti alimentari, ma lei aveva paura di essere derubata dal suo padrone di casa. Sono esposte come mai prima, il Covid per loro nemmeno esiste, non hanno paura di ammalarsi e vanno in strada senza proteggersi neanche con le mascherine".
Sabato 6 febbraio, Caritas ambrosiana, Centro Pime e Mani Tese e in collaborazione con Ucsi Lombardia promuovono in occasione della giornata mondiale contro la tratta 2021 il webinar "Tratta, prostituzione e schiavitù. nuove frontiere e nuove sfide". L'incontro sarà trasmesso in diretta streaming dalle 10 alle 12.
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