In Spagna il traffico di stupefacenti si evolve e cambia. Guardando i grandi numeri del 2020, relativi ai sequestri di merce avvenuti nel 2019 (1,5 milioni di piantine di cannabis; quasi 38 tonnellate di cocaina e circa 350 tonnellate di hashish) e alle migliaia di persone finite in carcere (20.437) si vede come i narcos si adattino velocemente alle circostanze (pandemia compresa) grazie alla spinta della policriminalità delle mafie dell’Est e al megaboom della marijuana. Il narcotraffico passa all’anonimato, rifugge le figure iconiche e i boss di un tempo, con nome e cognome; tutto questo, con un unico fine: che il business non si fermi.
E, da quanto rivelano i dati, il sistema di produzione, ricettazione e distribuzione di droga è piuttosto rodato, «non solo in Spagna ma in tutto il mondo; è un terreno privo di recinzione, destinato a espandersi, ed è difficile porvi rimedio, nel caso il rimedio esistesse», afferma José Ramón Noreña, da 14 anni a capo del pool antidroga.
La posizione geografica
Il narcotraffico non si crea e nemmeno si distrugge: si trasforma e basta. «Il sistema è strutturato, la Spagna svolge il ruolo di ricettatore (di hashish, dal Marocco; di coca dall’America latina) grazie alla sua posizione geografica; può contare inoltre su perfetti e fluidi canali di distribuzione, principalmente nel trasporto su gomma, nei camion che portano la verdura e la frutta in tutta Europa», segnala un alto ufficiale della Guardia Civil nella lotta contro la criminalità organizzata.
Evitare che il "sistema" si sostituisca allo Stato
«Possiamo smantellare gruppi più o meno forti, ma ne verranno altri, che per giunta cercheranno di imporsi e di occupare gli spazi rimasti vuoti, come abbiamo osservato nei violenti scontri tra clan rivali nella Costa del Sol», spiega un alto ufficiale di polizia della Udyco, l’Unità Narcotici e Criminalità Organizzata della Policía Nacional. «L’unica cosa che possiamo fare è evitare che questo sistema sostituisca o faccia concorrenza allo Stato, come avviene in paesi come il Messico».
Il boom della marijuana
L’ultimo Dossier del Traffico di Stupefacenti dell’Intelligence contro il Terrorismo e la Criminalità Organizzata (Citco) sottolinea soprattutto l’auge di qualcosa che già si era manifestato come tendenza: l’aumento impressionante delle coltivazioni di marijuana (sia indoor che all’aria aperta). Segnala inoltre una chiara oscillazione nell’entrata della cocaina, dal fronte nord, cosicché la Galizia torna a essere la porta principale da cui passa la polvere bianca, proveniente in gran parte dal Brasile e dalla Colombia. Nel novembre del 2019 venne intercettato lungo le coste galiziane il primo semisommergibile in Europa con a bordo 3.000 chili di cocaina; trovava così conferma un sospetto nutrito per anni dagli agenti impegnati nella lotta contro i narcos.
Il traffico di hashish dal Marocco si mantiene costante, anzi, sperimenta quasi una leggera impennata, nonostante il Piano Speciale la zona di Gibilterra che il Ministero degli Interni ha attivato nel luglio del 2018, per fronteggiare l’impudenza e l’arrivo continuo, sulle spiagge, di lance a motore cariche di balle, in pieno giorno, persino sotto il naso dei turisti. E affiancate da una violenza insolente contro gli agenti delle forze dell’ordine.
I dati rivelano che adesso sta entrando la stessa quantità di hashish o addirittura di più di un anno fa. Decine di narcolance continuano ad attendere che il tempo volga al bello per caricare la merce in acque prossime a Chafarinas e poi sperimentare nuove (e antiche) rotte verso il Levante, per sbalestrare nella zona di Almería e Murcia «e ancora più in là», segnalano fonti della polizia), o lungo il fiume Guadalquivir verso Huelva e il territorio dell’Algarve. Iniziano a comparire anche altri mezzi di trasporto, come le barche a vela che caricano sulla coste del Marocco e sbalestrano in qualsiasi porto del sud o dell’est della penisola iberica.
C’è però un dato che spicca, quest’anno, rispetto ai precedenti, ed è il nuovo incremento del traffico e della coltivazione di marijuana: un boom che scavalca il boom anteriore. Una droga silenziosa, coltivata ormai in 13 delle 17 regioni spagnole, secondo i dati del Citco. Un giro d’affari floridissimo, poco rischioso per i narcotrafficanti, fomentato soprattutto dai clan dei paesi dell’Europa dell’Est, sempre più radicati in Spagna.
«Con il primo raccolto (se ne fanno tre o più all’anno) ammortizzano le spese di installazione delle lampade da coltivazione indoor», indicano sia le fonti delle forze dell’ordine che i giudici. Non pagano nemmeno la bolletta della luca, perché si agganciano direttamente alla linea elettrica», fanno presente. «La Spagna, con grandi estensioni di territorio prive di popolazione e scarsamente sorvegliate è terreno fertile per nascondere questo tipo di piantagioni, oltre alle varie zone industriali dei centri urbani di grandezza media», sottolineano le stesse fonti.
La scarsa consapevolezza sociale
Per giunta, le condanne penali sono molto lievi: «Si scontano da uno a tre anni», dice Noreña, «e solo se riusciamo a dimostrare l’appartenenza alla criminalità organizzata si arriva ai quattro anni. Forse bisognerebbe infliggere pene più severe». A tutto ciò si somma «la scarsa consapevolezza sociale dei pesanti problemi che può provocare una droga modificata, con una concentrazione sempre più alta del principio attivo (quella che si produce in Spagna e si invia all’estero non è una droga leggera) che potrebbe scatenare una pandemia a livello psicotico oppure gravi e irreparabili disturbi psichici», avverte Noreña. Come se non bastasse, la Policía e la Guardia Civil sottolineano lo sfruttamento del lavoro associato alle piantagioni, «delle quali si prendono cura, nella maggior parte dei casi, stranieri senza documenti e in condizioni di schiavitù».
Pur essendo l’hashish – al primo posto – e la cocaína – al secondo – le droghe con le quali più si traffica, la marijuana anno dopo anno è quella che prende sempre più piede, secondo fonti della Policía Nacional e della Guardia Civil, perché ormai riunisce forme di criminalità di ogni tipo: «Dai cinesi ai cittadini provenienti dall’Est; dagli spagnoli ai cittadini britannici», e genera sempre più violenza intorno a sé: «Cappottamenti –bande che si rubano la merce a vicenda -, regolamenti di conti…», affermano fonti di entrambi i corpi delle forze dell’ordine.
L’Operación Verde, lanciata all’inizio del 2019 dalla Policía Nacional, si dispiegò dopo aver scoperto che molti raid della polizia contro la coltivazione di marijuana in paesi europei come Gran Bretagna, Francia, Olanda, Italia, Portogallo o Serbia avevano individuato nella Spagna il punto di partenza della droga, attraverso malavitosi di altre zone d’Europa.
Più di 2.000 agenti specializzati presero parte all’operazione che tra agosto del 2019 e ottobre del 2020 portò al sequestro di quasi mezzo milione di piantine di cannabis, di 800 piantagioni, 25,6 tonnellate di merce e oltre 7,6 milioni di euro, in successivi interventi delle forze dell’ordine. In aggiunta a una frode di energia elettrica del valore di 7 milioni di euro.
Il forte dilagare della produzione ed dell’export di marijuana è, per la Spagna,la prossima grande sfida nella lotta al narcotraffico, affermano all’unanimità gli esperti. Un secondo dossier interno del Citco, riguardante la tipologia delle organizzazioni dedite al traffico di stupefacenti, a cui el quotidiano El País ha avuto accesso, mette in risalto e avverte del «notevole aumento di gruppi (71, in totale) impegnati soprattutto nel traffico di marijuana, nel 2019; 21 in più rispetto all’anno precedente».
Le grandi cifre di merce confiscata e di arresti, invece, di solito non rendono evidenti le caratteristiche dei clan di narcotraficcanti che si dedicano al traffico di stupefacenti e che esercitano questa lucrativo attività illegale. Si stima che in Spagna raggiunga vette da 6 miliardi di euro l’anno (lo 0,5% del PIL), secondo il Ministero degli Interni, e che allunghi i suoi poderosi tentacoli in mezzo mondo.
A dispetto del numero di arresti, il numero di gruppi radicati nel Paese e dediti al narcotraffico non ha smesso di aumentare. In base ai dati del Citco, nel 2019 erano in tutto 504, un 4% in più rispetto all’anno prima. Tra questi, 109 si dedicano in parte al traffico di cocaina, rendono noto i massimi responsabili di quel ramo dell’intelligence.
Il dossier del Citco si spinge oltre e indica Málaga come il centro logistico del narco: «In quanto all’estensione dei gruppi sul territorio è d’obbligo sottolineare la rilevanza di Málaga che, seguendo la tendenza, occupa una posizione di spicco ed è una delle principali province in cui più agisce la criminalità organizzata».
E aggiunge: «Allo stesso modo, le province della zona del Levante e di Cádiz, dotate di porto marittimo, così come Siviglia, con il suo porto fluviale, essendo importanti centri logistici e di comunicazione sono anche punti strategici per l’entrata nel Paese di sostanze stupefacenti, soprattutto attraverso i containers».
La Costa del Sol è il punto in cui arriva la maggior parte della droga e a partire dal quale tutta la merce viene distribuita. «In Europa mandiamo tanto i pomodori quanto qualsiasi altra cosa», afferma ironicamente un inquirente della Guardia Civil per spiegare quale sia il mezzo di trasporto usato dalle organizzazioni per far viaggiare il loro prodotto.
Una società tarlata
Niente a che vedere con ciò che accade nella Línea de la Concepción (Cádiz), dove sono semplici ricettatori e corrieri di hashish, ma dove il problema è persino più grave perché i soldi della droga, sedimentatisi sui vecchi canali del contrabbando, hanno tarlato tutta la società.
«In una società con la disoccupazione al 30% e forse ancora più alta tra i giovani, un ragazzino guadagna 1.000 euro solo per avvisare in caso stia arrivando la polizia; ne prende 3.000 per scaricare balle da una lancia sulla spiaggia; 30.000 per trasportare la droga», segnala un capo ispettore della squadra Greco (Gruppi di Risposta Speciale alla Criminalità Organizzata) della Policía Nacional, con anni di esperienza nel dar la caccia ai narcos in questa zona. «Prova a convincerli a fare altro, adesso» dice sarcastico. «Il Piano Speciale arriva in grande ritardo; serve un Piano Integrale», afferma lo stesso agente di polizia.
«È successo ciò che non possiamo consentiré che avvenga: il motore economico di quella società, il denaro che arriva nelle banche, nelle aziende, ai piccoli e grandi giri d’affari, proviene in gran parte dal narco, è una società andata a male, da questo punto di vista», sostiene un altro inquirente della Guardia Civil.
Il dossier interno del Citco sulle organizzazioni di narcotraficcanti le analizza anche in base alla nazionalità degli indagati: «Emergono gli spagnoli nella cocaina e l’hashish, seguiti da marocchini e colombiani. I cinesi sono coinvolti nel traffico di marijuana, anche se quest’anno il loro numero è sceso ed è aumentata invece la presenza di altri gruppi, come i britannici, i lituani e i polacchi». Secondo gli esperti dei corpi di polizia, la violenza di altri gruppi ha messo in fuga i gruppi di cinesi che si erano occupati di produzione di marijuana negli anni scorsi.
«È un dato significativo nell’aumento del numero di persone arrestate (cresciuto del 12% rispetto all’anno precedente): aumentano i marocchini detenuti, dediti soprattutto al traffico di hashish e arrestati dopo i raid delle forze dell’ordine nel Campo di Gibilterra e nelle zone limitrofe; aumentano anche i colombiani, la cui principale attività delittuosa è il traffico di cocaina. Gli arresti degli albanesi si quadruplicano e loro, tra le altre varie attività illecite trafficano con la marijuana», specifica il dossier del Citco.
«Inutile però accumulare detenuti se il sistema giudiziario non è in grado di assorbirli», fa notare un alto ufficiale della Guardia Civil. La Giustizia è intasata e la sensazione di impunità per questi delitti è enorme; i narcos iniziano a entrare in carcere ultra trentenni e per molti di loro il giro d’affari è talmente ben oliato che «continuano a operare da dietro le sbarre ed escono dalla galera su cauzione, cauzione che pagano con i proventi del narcotraffico», segnala.
«I veri galli del pollaio adesso sono gli olandesi, gli svedesi e i belgi di origini magrebine; sono loro a far girare buona parte del business su scala europea, dopo essere riusciti ad avere il controllo della principali zone portuarie», spiega un altro alto ufficiale della centrale di Udyco. «E poi ci sono i corrieri/distributori/riciclatori di denaro sporco delle bande dell’Est, serbi e russi, in particolar modo, que si sono insediati a Valencia e ad Alicante e sono collegati con la Costa del Sol», specifica. «E, ancora, alcuni asiatici in Catalogna, che fanno circolare eroina e crescere grandi piantagioni di cannabis», aggiunge. Un melting pot di organizzazzioni criminali che si spartiscono il territorio spagnolo come fette di torta.
(Copyright El País/Lena-Leading European Newspaper Alliance. Traduzione di Monica Rita Bedana)
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