Sette tesori, oltre 9mila pezzi. Antichi e pregiati. La gran parte risale alla civiltà Mesoamerica, il resto simboleggia l’impero azteco e segna i fasti di una dinastia che governò l'attuale Messico fino alla metà del XVI secolo. Moltissimi si trovano all’estero, custoditi in musei e gallerie che tutto il mondo può ammirare. Ma sono una ferita per i messicani che si vedono espropriati di una identità perduta.
Il presidente Andrés Manuel López Obrador ne ha fatto un principio che ispira il suo governo: un misto di orgoglio nazionale condito da una buona dose di populismo. Così, con la mente proiettata a questo 2021 che celebrerà i 500 anni dalla scoperta del Messico da parte della Corona spagnola e i 300 dalla dichiarazione d’indipendenza, ha lanciato la sua campagna per il recupero dei tesori trafugati o sottratti nei secoli del dominio dei Conquistadores. Logico pensare che questi simboli del passato azteco si trovino a Madrid. In realtà hanno preso strade diverse e alla fine sono finiti nelle grandi capitali europee e statunitensi.
Amlo ha ingaggiato una vera battaglia diplomatica e giuridica con l’Austria, la Gran Bretagna, la Francia, la Germania e l’Italia: conservano gli oggetti che il Messico oggi rivendica. Vuole farli tornare in patria ed esporli al pubblico durante le numerose cerimonie che celebreranno due date così importanti per il Paese nordamericano. Collane, maschere, corone, gioielli, testi antichi, pergamene, orecchini, anelli, pietre intarsiate e ricoperte d’oro. Sono stati catalogati e individuati nel 2012 dallo specialista Miguel Gleason: ha dato un criterio nel disordine di questa ricchezza in parte smarrita, in parte rubata e contrabbandata.
L’obiettivo è difficile da raggiungere. Molti dei Paesi che conservano le reliquie non hanno accordi bilaterali su temi commerciali e danno interpretazioni giuridiche diverse in materia. Per la legge messicana si tratta di “beni patrimoniali inalienabili, imprescrittibili e non trattabili.” L’esportazione di reperti archeologici è un delitto punito dalla giustizia. Ma c’è un primo problema da superare: il Messico non sempre può dimostrare chi, quando e come sono stati trafugati, perché ha regolamentato il settore solo nel 1972 quando varò una legge specifica. Molti dei pezzi rivendicati sono spariti dal Paese prima di quella data e la norma non è retroattiva. È servita più che altro a tutelare la miriade di siti archeologici da un saccheggio forsennato.
La battaglia è stata vinta finora solo con la Germania e l’Austria. In parte: dopo dieci anni di ricorsi contro un collezionista privato il Messico ha potuto recuperare due statuette sparite agli inizi degli anni '90. Negli stessi giorni si è visto recapitare dall’Austria uno scudo azteco (chimalli) che giaceva all’estero da oltre 500 anni. Ma il resto, la maggioranza, resta fuori dal Paese.
Amlo ha spedito la moglie, esperta d’arte e di archeologia, come ambasciatrice in giro per l’Europa. È passata per Vienna che conserva il Pennacchio di Montezuma, corona d’oro con 200 piume di quetzal, splendido uccello tuttora venerato, indossata dall’ ultimo imperatore azteco Moctezuma Xocoyotzin. È stata ricevuta a Londra dove ha sollecitato la restituzione del Serpente a due teste, (maquizcoatl), simbolo usato nelle cerimonie religiose dove i due serpenti sono le creature in grado di unire l’inframondo, l’acqua e il cielo. Ha sollecitato Parigi per il Codice borbonico, testo antico che conserva i codici precolombiani. Ha bussato alle porte della Biblioteca pubblica di New York per richiedere la più antica delle copie del manoscritto Nican Mopohua sulle apparizioni della Vergine di Guadalupe adorata in Messico.
Tutti hanno convenuto ma respinto con garbo le richieste. L’ultimo tentativo c’è stato la settimana scorsa. Il governo si è rivolto alla Francia e ha preteso di sospendere l’asta programmata da Christie’s il prossimo 9 febbraio a Parigi. Saranno battuti 30 pezzi in occasione della “Quetzalcóatl, il serpente con le piume”, con base di partenza tra i 4 mila e i 900 mila euro. L’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia messicano denuncia che tre pezzi della collezione sono falsi e che quindi l’asta non ha i presupposti legali per tenersi.
Ma al di là della fondatezza della denuncia, tutta da verificare, sono labili le possibilità che sia quelli presunti falsi sia gli altri cimeli possano essere restituiti agli storici proprietari. La Francia si tira fuori e spiega che si tratta di uno scambio commerciale tra privati. Il Messico insiste anche con la Procura Generale: sono beni della nazione e non si possono commercializzare. Anzi: sono pezzi trafugati e le subaste si trasformano nello strumento con cui vengono riciclati.
Battaglia impossibile. Persa in partenza. Anche se Amlo non dispera. I messicani dovranno celebrare il loro 2021 con quello che hanno in casa. Come fanno ora quando si mettono in fila per ammirare nel Museo di Antropologia di Città del Messico quel pennacchio dell’ultimo imperatore atzeco. Spicca nella sala centrale, protetto da una teca, su un pannello con il fondo di velluto rosso. Non tutti lo sanno: è una copia dell’originale.
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